Passi indietro, misure di dubbia incisività, (ancora) tanti slogan, coperture mancanti o solo ipotizzate: ci si affibbi pure l’appellativo di "gufo", come chiede Renzi, ma il quadro che emerge osservando il piano economico varato ieri dal governo è sostanzialmente questo.
Il bonus Irpef, cavallo di battaglia del premier fiorentino, è stato ridimensionato. "Avevamo detto 80 euro, e 80 devono essere" ha dichiarato Renzi con entusiasmo in conferenza stampa, dimenticando però di aver detto – il 12 marzo scorso – anche un’altra cosa, e cioè che l’aumento in busta paga sarebbe andato a beneficio di tutti i lavoratori con reddito al di sotto dei 26mila euro.
Non è così: il bonus riguarderà solo i dipendenti con reddito tra 8mila e 26mila euro, lasciando dunque esclusi gli incapienti, per i quali si rimanda a un futuro provvedimento. Rimane, peraltro, ancora dubbia la capacità di questa misura, e dell’altro intervento centrale previsto dalla manovra renziana, vale a dire la riduzione dell’Irap del 10%, di rilanciare concretamente i consumi e la competitività delle imprese.
La seconda marcia indietro concerne il pagamento dei debiti della P.a. Una retromarcia piuttosto annunciata, dal momento che i 68 miliardi di euro vagheggiati a marzo dal premier apparivano già allora una cifra astronomica e quindi poco credibile. Saranno solo 8 i miliardi di euro che verranno pagati ai creditori, facendo diminuire così anche il potenziale maggior gettito Iva.
Attorno al bonus Irpef e al pagamento dei debiti della P.a., dunque, si consuma la prima sconfitta di Matteo Renzi e del sistema mediatico-propagandistico da lui stesso messo in piedi. Per la prima volta, infatti, le decisioni del premier non corrispondono alle sue promesse. Una discordanza inevitabilmente di rilievo, se si considera la perenne retorica dell’accountability fatta propria dal sindaco fiorentino.
Nella sostanza, comunque, gli evocati provvedimenti shock, in grado di dare una svolta di carattere strutturale alla situazione economica stagnante del Paese, sono ancora rimandati. Così come sono rimandati, paradossalmente, molti punti relativi al capitolo coperture, quantificate in 6,9 miliardi per quest’anno e 14 miliardi per il 2015. Il vero problema qui non è rappresentato dalla miriade di tagli più simbolici che concreti (dal tetto di 240mila euro agli stipendi dei manager pubblici al taglio degli F35, passando per il tetto di cinque auto blu per ciascun ministero), quanto dalla fragilità delle coperture indicate.
Circa la metà delle coperture previste per il 2014 non sono strutturali, come l’Iva sui pagamenti della P.a l’aumento della tassazione sulla rivalutazione delle quote di Bankitalia e i maggiori ricavi dalla lotta all’evasione. Le coperture per il 2015, invece, sono addirittura rimandate alla prossima legge di stabilità. Insomma, superficialità ed incertezza regnano sovrane.
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