Quaderni Radicali 108, in uscita in questi giorni, dedica un ampio Primo piano all’ InGiustizia. il prefisso privativo esplicita la gravità delle patologie della “questione giustizia” in Italia. Patologie che aggrediscono più fronti: dalla vita insostenibile dei carcerati ai guasti irrimediabili sulle istituzioni. Lo stesso ordine della magistratura, sottoposto a devastanti lotte di e per il potere, ha assunto fisionomie irrintracciabili altrove nel mondo. Il sistema giustizia è arrivato a livelli di assoluta controproduttività con drammatici riflessi sul sistema Paese nel suo complesso, che pregiudicano investimenti e condizioni del vivere civile.
Ci sono state manifestazioni, sit-in, marce; ne ha parlato (poco a dire il vero) la politica; il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, nel convegno promosso dal Partito Radicale Nonviolento Transnazionale e Transpartito il 28 luglio 2011, aveva con fermezza sottolineato che la giustizia ritardata sotto il profilo dei principi costituzionali e dei diritti umani negati per le persone ristrette in carcere, private della libertà per fini o precetti di sicurezza e di giustizia (...) costituisce“… una questione di prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile” ; sui giornali compaiono cifre da capogiro e inchieste inquietanti (salvo poi sprofondare nell’oblio della cronaca nera, rosa, grigia) ma in televisione tutto è come prima.
Costituzionalisti, sindacalisti, magistrati sono intervenuti ma, alla fine, la situazione peggiora giorno dopo giorno; come, giorno dopo giorno, peggiora lo stato della democrazia italiana, che viola le proprie leggi ed i patti internazionali, tentando di coprire invano le proprie vergogne con la foglia di fico dei proclami ad effetto che dichiarano giustizia per tutti ma la garantiscono solo per qualcuno.
Marco Pannella, che tra scioperi della fame ed attività politica non si risparmia nel denunciare la “flagranza di reato” dello Stato verso se stesso e verso l’Europa, sembra un vecchio leone che, non domo, ne ha da raccontare; nelle sue parole ci sono quelle di tanti detenuti letteralmente segregati nelle carceri italiane, ma ci sono anche i principi costituzionali, i diritti umani e civili che, in Italia, è diventato impossibile rispettare, allo stato attuale delle cose. Una situazione, quella italiana, che Marco Pannella denuncia da tempo.
“Precisamente dal novembre 1978, ma sono 38 anni che assistiamo ad una flagranza di reati immondi perpetrati dallo Stato”
Quello dell’amnistia non è un tema semplice; certamente “impopolare”, soprattutto nell’era del giustizialismo imperante e dell’informazione inesistente, è tuttavia una questione fondamentale di diritto, democrazia e libertà, se si vuole realmente avviare una azione riformatrice. In Italia si parla di carceri dall’epoca di Beccaria, si parla di riforma della Giustizia dalla prima Repubblica, ma il risultato è sotto gli occhi di tutti:
“1 milione e 600 mila prescrizioni di classe, 70mila detenuti a fronte di 46mila posti disponibili, di cui il 48% in custodia cautelare” senza contare i tossicodipendenti, gli immigrati e i detenuti in attesa di giudizio “di cui il 50% risulterà poi innocente”.
Sono numeri che, nonostante tutto, non rendono le immagini che Pannella ha scolpite nella mente, quelle immagini rinfrescate a ritmo costante ogni volta che fa visita ad un carcere dello stivale, portando fuori dai cancelli sempre la stessa agghiacciante immagine: quella di un Paese criminale.
“Dove c’è strage di legalità c’è strage di popoli” ripete da anni come un mantra. In Italia questa strage si verifica ogni volta che un detenuto decide di togliersi la vita piuttosto che viverla come un animale, chiuso “ 23 ore al giorno in una cella nella quale, se si alzano tutti in piedi, non c’è più spazio”, ma si verifica anche ogni volta che un reato cade prescritto: una vera e propria “amnistia per ricchi” come la definisce provocatoriamente il leader radicale.
Ci sono gli scioperi della fame, il cui senso viene onorato dalla disciplina di Pannella.
“Lo sciopero non è mai fatto rischiando la morte, ma rischiando la vita contro la morte. L’amnistia non è un atto di clemenza, ma serve a far uscire lo Stato dall’illegalità, dalla violazione delle leggi costituzionali ed europee”.
L’amnistia, dunque, non è solo un segnale di buonismo, o perdono?
“Assolutamente no. Intendiamoci, in questa battaglia siamo in sintonia con tutti i credenti. La seconda Marcia per l’Amnistia del giorno di Pasqua, partita da Regina Coeli, si è snodata anche di fronte a San Pietro in onore e ricordo di Giovanni Paolo II, che ho stimato molto, e che molte volte ha espresso solidarietà ai detenuti in Italia”.
Oltre al fatto evidente che le strutture carcerarie andrebbero ammodernate, ampliate, rese quantomeno vivibili prima ancora che centrali nell’extrema ratio della detenzione come incipit di rieducazione sociale del detenuto, non basterebbe costruirne delle altre? La proposta del Piano Carceri prevedeva proprio questo.
“E’ sbagliato costruire nuove carceri, almeno concettualmente: è l’intero sistema giudiziario e penale italiano che va riformato, perché non garantisce i diritti fondamentali dell’uomo, primo su tutti la presunzione d’innocenza: le carceri sono piene di persone in attesa del giudizio di primo grado”.
C’è il dramma dei suicidi…
“A me risulta che vi sono stati almeno 300 agenti della Polizia penitenziaria suicidi negli ultimi anni, mi risulta che vi sono stati 600 suicidi nelle carceri. Ho capito che questa per il nostro Presidente della Repubblica non è solo una ‘prepotente urgenza’, ma anche ‘intollerabile…”.
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