Tra pianti e insulti si consuma l’ennesima crisi esistenziale del Movimento 5 Stelle. Inevitabile, e prevedibile, se si pensa al modo con cui il duo Grillo-Casaleggio è riuscito a mettere in piedi un regime padronale che nulla lascia alla libertà dei singoli. Ma i quattro senatori espulsi, ora, assieme ad altri dissidenti, cadono dalle nuvole: “Peggio dei fascisti”.
Che il partito fondasse la sua stessa natura su una gestione verticistica di stampo autoritario era chiaro già da diverso tempo, sin dalle sue origini, e per comprenderlo di certo non occorreva che gli iscritti confermassero con una votazione online l’espulsione dei quattro ribelli – Battista, Orellana, Bocchino e Campanella –, colpevoli di aver criticato il comportamento di totale chiusura tenuto da Grillo durante le consultazioni con il nuovo premier Matteo Renzi.
L’esito del voto peraltro, in sé, non sorprende. Il “popolo” grillino – o, meglio, il suo nocciolo – è quello ormai noto, quello che sulla base di uno sterile ribellismo ha deciso di affidarsi completamente al qualunquismo di un leader carismatico, l’unico in grado di rivoltare il Paese come un calzino e “mandare tutti a casa”.
Ciò che invece è degno di attenzione è il tasso di partecipazione alla consultazione online: a votare sono stati 43.368 iscritti (di cui 29.883, il 70%, a favore dell’espulsione). Vale a dire circa 10mila iscritti in più rispetto a tutte le (poche) consultazioni tenute fino ad ora sul blog per definire assieme agli internauti le politiche da adottare, dalla legge elettorale al reato di clandestinità (a votare in quest’ultimo caso furono 25mila iscritti). A conferma, insomma, che i grillini appaiono presi più dalle questioni di ordine interno, e dal desiderio di esprimere consenso al proprio leader, piuttosto che interessati a delineare proposte politiche reali da portare in Parlamento.
L’estromissione dei quattro senatori, comunque, ha spaccato il movimento, tanto che si torna a parlare di una possibile scissione. Tre dei quattro senatori hanno già rassegnato le dimissioni dal gruppo M5S, e altri – almeno una decina – sarebbero pronti a seguirli. Stesso scenario alla Camera, dove il deputato Alessio Tacconi ha annunciato l’uscita dal gruppo assieme ad altri cinque membri: “Con questo voto si è dimostrato che non è possibile andare contro il parere di Casaleggio e Grillo”.
I transfughi grillini ora sarebbero pronti a costituire un gruppo misto e ad essere accolti come i difensori della democrazia che, mossi da un irrefrenabile anelito di libertà, hanno saputo ribellarsi al dispotismo del proprio capo. Tutto ciò, si badi, nonostante i segnali di una gestione padronale del movimento fossero chiari sin dall’inizio, e nonostante quindi permanga nei soggetti in questione una carenza strutturale di competenza e coscienza politica; una carenza tipica di chi si è ritrovato catapultato in Parlamento grazie ai voti di pochi familiari e sulla quale Grillo e Casaleggio hanno fondato l’ascesa di tutto il movimento.
Soggetti con i quali appare dunque impossibile avviare qualsiasi forma di dibattito sul piano del contenuto politico concreto. Logico allora che già si cominci a parlare di un possibile “ponte” con Civati, il correntista democratico che fa del disagio il suo mestiere, sebbene possa contare, oltreché su poche proposte, su solo sei senatori. Un’apertura ai dissidenti grillini è giunta anche dal senatore Pd Corradino Mineo.
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