#fatevelodiredaunsindaco. Potrebbe essere il nuovo tormentone da lanciare su twitter dopo l’ormai mitico #enricostaisereno. La frase è stata ripetuta come un mantra da Matteo Renzi anche nella replica di ieri alla Camera. Un modo per rimarcare la diversità, per sottolineare che lui è abituato a stare fra la gente toccando con mano i drammi dell’italiano medio, lontano dalle atmosfere paludate e distanti dei Palazzi romani.
Così, come sindaco, questa volta d’Italia, ha voluto iniziare la sua avventura dopo la fiducia incassata dal suo Governo volando di buon mattino verso il Veneto in visita a un scuola di Treviso.
Da oggi in poi si annuncia un calendario ricco di viaggi per l’Italia che soffre, fra una telefonata al cassintegrato di turno con moglie e figli a carico e un giro al mercato tra le anziane pensionate che non arrivano a fine mese; risponderà inoltre alle lettere che gli giungeranno dai bambini che avranno ascoltato la sua esortazione a scrivergli.
Non è dato ancora sapere se proverà a parlare agli uccellini, a frate sole o a sorella luna, di sicuro perseguirà con insistenza la sua strategia di marketing politico rivelatasi comunque vincente, fatta di “giro, vedo gente, mi muovo, conosco, faccio delle cose”. Nel breve periodo servirà a ottenere consensi e simpatie, al netto di arance e insulti come quelle prese oggi da gruppuscoli di leghisti e militanti dei forconi, cavalcando il sentimento di antipolitica da prima repubblica che invade la nazione.
Poi, però, toccherà guardare ai risultati dell’azione di governo: il cambiamento radicale e le riforme annunciate e attese. Su questo si gioca tutto, ha sottolineato il neo premier. E se non riuscirà, si assumerà tutta la responsabilità del fallimento.
Bene: in tal caso, e visti i modi della presa del potere (sempre per spirito di sacrificio e per il bene del Paese, come si usa dire), basteranno eventualmente le “tante scuse”? Probabilmente no. Ma lui, Renzi, già avrà la risposta pronta: non mi hanno lasciato lavorare. Berlusconi docet.
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