Immerso nel solito tripudio di slogan ed ammiccamenti telegenici, Matteo Renzi ha deciso ancora una volta di rinviare la presentazione delle tanto attese proposte che dovrebbero risollevare il mercato del lavoro italiano. A parte qualche vago accenno ad una “maggiore flessibilità in uscita e più garanzie per i disoccupati”, infatti, dall’accomodante studio di Fabio Fazio il neosegretario democratico ha annunciato che renderà noto il proprio “piano del lavoro” entro la fine di gennaio.
Si tratta di un grande passo in avanti – si perdoni l’inevitabile ironia – se si pensa che nello sbandieratissimo programma presentato alle primarie, Renzi, dopo aver puntualmente dribblato con nonchalance l’intera questione, aveva fissato al “prossimo Primo Maggio” il termine entro cui far sapere finalmente “che idee abbiamo” sul lavoro. Affianco ad esse, inoltre, ora si attende la definizione di un limite temporale per tutte le altre riforme – in particolare su fisco, giustizia e pubblica amministrazione – anch’esse esplicitamente rimandate nel suddetto programma di governo.
Il piano del lavoro, insomma, arriverà (a conferma, in modo emblematico, che il Rottamatore fiorentino abbia giocato fino ad ora la propria partita – incluse le primarie – sulla mera base dell’immagine e del consenso), e pazienza se intanto il Paese annaspa nel pantano della crisi senza alcun riguardo per il periodo natalizio.
La procrastinazione e la timidezza mostrate da Renzi, da questo punto di vista, sembrano promettere ben pochi risultati, proprio perché distanti da quegli interventi strutturali e profondi di cui avrebbe tanto bisogno il sistema economico italiano, oppresso da smisurati, soffocanti ed intoccabili interessi corporativi (chiedere allo sconsolato Enrico Letta per l’ennesima conferma).
La strategia di Renzi – la dilazione continua – appare dunque perfettamente in linea con l’immobilismo di fondo mascherato da brillante attivismo riformatore fatto proprio dai vari governi succedutisi negli ultimi mesi, anni e decenni.
L’annuncio della propria ricandidatura a sindaco di Firenze è solo l’ultima prova (largamente prevista) della volontà del neosegretario democratico di proseguire sulla strada del mantenimento del consenso, per ora di fatto fine a sé stesso.
Accettata l’assistenza al governo Letta (“imposta” dalla sentenza anti-Porcellum della Corte Costituzionale), conservare la carica di sindaco è il modo con cui Renzi cercherà di tutelare la propria immagine di governo. Un’operazione più che mai fondamentale dato che si svolgerà in contemporanea con le elezioni europee, dalle quali il Pd attende nient’altro che una serie di schiaffi populistici ed antieuropei ben poco delicati. E le riforme? Aspetteranno…
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