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16/11/24 ore

Pd, Renzi alla prova dei fatti


  • Ermes Antonucci

“Il meglio deve ancora venire”, dice Renzi. Sì, ma anche il “peggio”. Nonostante la netta vittoria alle primarie, infatti, restano ancora molti i dubbi circa le capacità del nuovo segretario del Pd di guidare il centrosinistra al cambiamento. Il primo problema riguarda innanzitutto la (in)consistenza del programma di governo.

 

È stato già detto, sottolineato e sostenuto attraverso un'analisi delle sue dichiarazioni e della sua mozione programmatica: le difficoltà nell’individuare, nelle sue parole, proposte politiche concrete (in primis sulle modalità con cui rilanciare l’economia) sono più che evidenti, e rappresentano un ostacolo di non poco conto in prospettiva futura.

 

Ottenuta infatti la palese sponsorizzazione dei grandi media (in particolare quella di Repubblica del neo-renziano De Benedetti), nonché di necessari poteri finanziari, – tutti desiderosi di scardinare il sistema di potere dell’establishment puntando sulla figura di un rottamatore, a prescindere dai contenuti, secondo una logica piuttosto grillesca – la vera sfida ora per Renzi è quella di affiancare alla propria immagine di leader una reale proposta di governo.

 

Ciò è reso ancor più necessario dalla presenza dell’esecutivo di larghe intese guidato da Letta. Nelle ultime settimane si era respirata una certa aria di sfiducia (“Il governo dura se fa le cose”, erano state le parole del sindaco di Firenze) ma la sentenza della Corte costituzionale sull’incostituzionalità del Porcellum ha spazzato via in un colpo solo i progetti di Renzi.

 

Pensare di andare alle urne con un sistema proporzionale è, oltre che incompatibile con la tanto evocata svolta maggioritaria, pericolosa dal punto di vista della frammentazione e dell’ingovernabilità.

 

Il governo Letta, dunque, prosegue la sua corsa, secondo alcune fonti governative almeno fino al 2015, con la speranza che in Parlamento si riesca a trovare, prima o poi, un accordo di massima sulla riforma elettorale.

 

In una situazione del genere il neo-segretario democratico corre il rischio di fare la fine di Pierluigi Bersani, a suo tempo adagiato sugli allori delle primarie e alla guida di un partito pilastro del governo Monti, quindi facilmente additabile di complicità nella definizione delle impopolari misure di austerità.

 

Lo scenario per Renzi è tutt’altro che positivo, e lo sarebbe ancor meno in caso di un tonfo del Pd alle elezioni europee del prossimo maggio. L’unica soluzione per evitare di vedere il proprio consenso sciogliersi come neve al sole, sembra essere – per il vincitore delle primarie – quella di delineare ed imporre un piano di riforme concreto, adatto alle circostanze attuali, e di conseguenza in larga parte realizzabile.

 

Occorre puntellare, insomma, la propria leadership con contenuti politici, fino ad oggi mancati. Renzi pare non aver ancora intrapreso questa direzione. L’annuncio, più volte ribadito, di una sua ricandidatura a sindaco di Firenze è in tal senso significativa: la volontà sarebbe quella di continuare a mostrare un volto di governo, di politica reale, per di più in un contesto locale, lontano dai riflettori di Palazzo Chigi, in modo da mantenere una presunta immagine moderna ed innovativa, senza necessariamente sviluppare valide proposte politiche.

 

In questo quadro, comunque, Berlusconi e Grillo non resterebbero a guardare. Di fronte alle aspirazioni maggioritarie di Renzi, il primo potrebbe essere indotto a ricucire in qualche modo lo strappo con Alfano, per creare un grande fronte moderato e radicale allo stesso tempo.

 

Grillo, invece, è probabile che alzerà i toni, veicolando la rabbia della base proprio contro il segretario democratico – definito dall’ex comico “l’ebetino di Firenze – che progressivamente sta conquistando il voto di un’ampia fetta dell’elettorato più giovane (determinante per il successo del M5S nel febbraio scorso).

 

 


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