L’estratto dell’intervista rilasciata da Carlo De Benedetti ad Alan Friedman, uscito sul «Corriere della sera» il 13 novembre, fornisce lo spunto per considerazioni che riguardano più aspetti dell’attualità politica.
In primo luogo, con l’intervista De Benedetti ha ufficializzato il suo voto a favore di Renzi alle primarie del PD del prossimo 8 dicembre. È un’inversione a U rispetto alle primarie dell’anno passato, quando lo stesso Ingegnere si pronunciò contro il sindaco di Firenze, preferendogli Bersani.
Al giornalista Friedman, spiega che ciò si deve a una migliore conoscenza di Renzi che non gli appare più un clone di Berlusconi, ma piuttosto la persona giusta per guidare il Paese in questo difficile momento.
C’è da dire che l’editore de L’Espresso-Repubblica motiva la sua scelta con la giovane età del candidato e la capacità di empatia, ma questa non è una qualità dirimente e tanto meno contiene in sé elementi rassicuranti, visto che anche il Cavaliere non ne era privo. Decisiva rimarrebbe dunque la condizione anagrafica: non è molto come piattaforma di partenza per un’azione politica.
Stando così le cose emergerebbe con tutta evidenza che l’appoggio debenedettiano non ha nulla a che vedere con l’adesione a una progettualità e tanto meno si preoccupa di definire i contenuti di un programma.
Da parte sua, lo stesso Renzi nelle ultime settimane ha fatto di tutto per sfumare i contorni del suo disegno politico: i tempi delle 100 cose da fare subito sono un pallido ricordo. Oggi sembra contare più di ogni altra cosa la creazione di un clima idoneo a garantirsi il sostegno proprio del polo informativo-editoriale che fa riferimento a De Benedetti.
Si realizza così una sorta di cortocircuito, per cui Renzi si fa sfuggente sul piano propositivo, trascurando del tutto la centralità della “questione liberale” all’interno della sinistra italiana, e in cambio si garantisce la copertura di chi è interessato prima di tutto al mantenimento dello status quo.
Ancora una volta, in questo modo il polo di centro-sinistra rinuncerebbe a farsi promotore di un cambiamento, accettando di farsi interlocutore privilegiato delle oligarchie dominanti. Di queste ultime, l’Ingegnere è componente essenziale e la sua preoccupazione fondamentale sta nell’assicurarsi le condizioni per continuare ad operare come sempre, ottenendo i massimi vantaggi con il minimo rischio, al riparo di una rete di sicurezza provvidenzialmente stesa dall’interno delle istituzioni statali.
Se, come tutto lascia presagire, Renzi si presterà a questo la conclusione è una sola: addio a ogni prospettiva di cambiamento.
Va aggiunto un corollario, che serve a chiarire ancor meglio il modo di pensare dell’editore di Repubblica. Alla domanda sulle morti per mesotelioma causati dall’amianto presente negli edifici dell’Olivetti, Carlo De Benedetti dichiara: «la colpa di questi morti è dell'epoca di Adriano (Olivetti). Non di Adriano, ma degli architetti che hanno lavorato per Adriano». Parla di “colpa”, quando nello stesso contesto precisa che l’uso dell’amianto è stato proibito dalla legge solo nel 1992, oltre trent’anni dopo la costruzione di quegli stabilimenti.
Il richiamo alla normativa del 1992 serve per scagionare se stesso dalle responsabilità, ma non gli “architetti” che hanno usato l’amianto? Puritani, giustizialisti e fanatici con gli altri, sempre indulgenti con se stessi: lo stesso caratteristico modo di rapportarsi coi fatti, che ritroviamo nelle pagine del suo giornale «la Repubblica». Che, non a caso, sulle inchieste di Ivrea relative all’amianto come pure su quelle delle centrali energetiche della Liguria, non scrive un rigo.
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