Aldilà dei facili entusiasmi giustizialisti, due sono i segnali che sono emersi con chiarezza con la decadenza da senatore di Silvio Berlusconi. Primo, che il Cavaliere è, e intende continuare ad essere, il leader del centrodestra italiano. Secondo, che le aspettative di vita del governo Letta risultano essere ora molto più basse, e probabilmente poco adatte al calibro delle riforme che ci si prefigge di realizzare, al di là dei propositi di Napolitano.
Sul primo punto - la permanenza di Berlusconi alla guida del centrodestra - l’ex premier è stato molto esplicito di fronte ai suoi sostenitori: “Io non mi ritiro. Non disperiamoci se il leader del centrodestra non è più senatore. Ci sono leader di altri partiti che non sono parlamentari, come Renzi e Grillo”. Impossibile pensare, con Berlusconi, che un colpo di spugna, per di più giudiziario, possa cancellare lui e la sua storia politica.
Un errore classico, sul quale il centrosinistra vorrebbe evitare di ricascare, e questa volta a ricordarglielo ci penserà – quasi in maniera ironica – la “nuova” Forza Italia, di fatto politicamente mai sconfitta tutte le volte che si è presentata con questa sigla. Lo scenario, anche se potrebbe apparire compromesso dalle estremizzazioni che si sono consumate nell'aula del Senato, di una futura grande coalizione tra Forza Italia e il Nuovo Centrodestra di Alfano, rappresenterebbe addirittura un ritorno di prepotenza del centrodestra.
E così i berlusconiani "più fedeli" e gli "alfaniani" potrebbero tornare uniti a livello di coalizione elettorale anche perché questi ultimi non è chiaro dove potrebbero andare. Certo esiste sempre la favola di un ritorno al futuro di centristi di varia umanità. Ma è ipotesi che sembra il sogno più volte tentato ma mai realizzato (vedi la Rosa Bianca, Casini, Monti, Scelta Civica e chi più ne ha più ne metta ...).
Alfano ha lasciato le porte aperte e Berlusconi ha subito colto la palla al balzo, tanto da raccomandare in conferenza stampa di “non fare alcuna dichiarazione contro il Nuovo Centrodestra” e da non nominare il nome del “figlio” ribelle. Anche se il vice-premier si affanna a dire che lui non è mai stato "l'erede".
Sul secondo punto, il futuro del governo Letta, la questione appare molto più complessa. E’ indubbio, infatti, che le intese alla base dell’esecutivo voluto con forza dal presidente Napolitano siano ora molto più “ristrette”. Nonostante i tentativi di autoconvincimento di Letta (“Governo più forte e coeso”), la domanda che sorge spontanea è se a questo punto non siano venute meno le stesse condizioni di fondo del progetto di transizione disegnato e realizzato da Napolitano, che, solo poco più di sette mesi fa, al momento del suo nuovo insediamento da Capo dello Stato, attaccava i “responsabili di tanti nulla di fatto nel campo delle riforme”, prima di ammonire: “Non è per prendere atto dell’ingovernabilità che ho accolto l’invito a prestare di nuovo giuramento come Presidente della Repubblica”.
Ad essere venuta meno nelle ultime settimane, tuttavia, sembra essere paradossalmente proprio la volontà del presidente Napolitano di mantenere intatto – o quantomeno più probabile – quel “clima di pacificazione” richiamato come condizione necessaria per la sua permanenza. Dal punto di vista pratico, il Capo dello Stato di certo non avrebbe potuto intervenire in modo risolutivo (vedi grazia), ma il silenzio dietro cui si è riposto ha lasciato a molti seri dubbi sulla sua reale possibilità di far proseguire il governo di larghe intese.
A minare la credibilità dell’intero programma d’intese è giunta oggi anche la notizia di un accordo, dopo due mesi di negoziati, tra Angela Merkel e la Spd per la formazione di un governo di coalizione in Germania. Anche in questo caso, ovviamente, erano presenti diversi punti di contrasto, ma la lunga discussione tra i conservatori e i socialdemocratici ha permesso di raggiungere un accordo definitivo su proposte e questioni ben precise, chiare, e pubbliche. Insomma larghe intese (che non sono certo entusiasmanti, ma in alcuni casi necessitate), sì, ma non all'italiana.
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