“Al di là del merito”. È un po’ questa la sintesi del confronto televisivo tra i candidati segretari del Pd. In diretta dallo studio di XFactor, i “talenti” democratici in cerca del successo – Renzi, Cuperlo e Civati – si sono resi protagonisti di uno spettacolo in perfetta continuità con le aspettative, di certo non positive, emerse in passato tra chi si fosse imbattuto nei loro rispettivi programmi politici.
Il ritmo frenetico del confronto (domande secche con un minuto e mezzo per rispondere) non ha rappresentato un grande ostacolo per i tre nuovi big del Pd, anzi, paradossalmente, è apparsa come la piattaforma perfetta sulla quale ribadire la propria logica della propaganda e della vaghezza sostanziale.
Il centro fisico, ma soprattutto mediatico, del palco è stato occupato dal lanciatissimo e quasi-segretario Matteo Renzi, che, unendo la sua scontata telegenicità alla sua populistica praticità da sindaco, ha magistralmente riprodotto le strategie comunicative prescritte dai propri esperti di marketing politico. Come quando, spostando lo sguardo verso le telecamere, tra il panico generale, si è rivolto ad un’ignota “cara Francesca” per rassicurarla che “faremo questa riforma con te”. Picco massimo di ascolti, ma l’impresa più ardua è individuare la citata e benedetta riforma.
Stesso problema, tra l’altro, per la legge elettorale: “Mattarellum con 25% di premio di maggioranza, oppure doppio turno di collegio, oppure il sistema dei Comuni sotto i 15mila abitanti”. Il gioco delle tre carte, praticamente, tanto – testuali parole – “sono tutte identiche”. Puntuale, da Renzi è giunta anche la bordata contro l’eterno nemico D’Alema, unita a quella contro i celebri “capitani coraggiosi” osannati dall’ex premier ai tempi della privatizzazione Telecom.
A Gianni Cuperlo è toccato invece fare la parte del Bersani di turno e del tradizionalista di ispirazione post-comunista. Non si è rintracciato l’astio anti-liberista che caratterizza la sua mozione programmatica, ma le formule politiche sono comunque quelle: Privatizzazioni? “Più pubblico”, patrimoniale? “Netto sì”, vincolo europeo del 3%? “Strategia fallita”, con la solita frase pretenziosa che tanto fa arrabbiare Cacciari: “Bisogna sbattere i pugni in Europa”.
Memorabile anche la sollevazione di Cuperlo contro “ogni forma di deriva presidenzialista del nostro ordinamento” (attribuita a Renzi, che ha reagito rivendicando la propria vaghezza), metti caso che il sistema italiano diventasse nazista ed autoritario come quello di Francia ed Usa.
Il problema principale dell’uomo dell’ ”apparato”, però, è la sua retorica: a tratti piatta, prolissa e schiacciata su un approccio bersaniano. Ben poco adatta alla platea televisiva e ancor di più al fantomatico “popolo della Rete”, che ha già bocciato la performance dell’anti-Renzi, ma che va un po’ per conto suo, se si pensa che ha eletto Civati come vincitore della serata.
Ecco, Pippo Civati, appunto. Il giovane outsider del Pd ha provato a dare una scossa alla propria campagna elettorale, essendo stato accreditato, dieci giorni fa, di un misero 9% dagli iscritti del partito. Lo ha fatto in maniera quasi volutamente fastidiosa, sommerso dagli applausi della propria claque – la più numerosa e la più femminile –, in delirio per le intraprendenti battute del mini-Renzi (il Papa che telefona, gli “spingitori di primarie”, le “ereditarie del centrodestra”) e per alcune precise perle populistiche come il ritorno al Mattarellum, la mozione di sfiducia nei confronti del ministro Cancellieri, la bocciatura del governo Letta.
I candidati sono ormai pronti per le primarie del prossimo week-end. Un po’ meno gli elettori, che fanno fatica ad intravedere segni politici distintivi tra i tre contendenti, anche se ciò, in fin dei conti, non ha costituito negli ultimi anni un grande problema, né per i votanti né per i presunti rappresentanti del centrosinistra italiano.
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