È probabile che ieri, leggendo su Twitter il messaggio di Renzi (“Le dimissioni si chiedono ai condannati, non agli indagati”), il ministro Cancellieri abbia per un momento tirato un sospiro di sollievo: “Forse il sindaco di Firenze ha compreso la mia situazione”.
Nonostante il clamore mediatico, in fondo, nel tanto discusso affaire Ligresti la Guardasigilli non ha svolto alcuna azione illecita, né ha esercitato – come ha chiaramente affermato Gian Carlo Caselli, capo della procura competente – alcuna influenza nelle decisioni dei magistrati torinesi.
Subito dopo, però, per Cancellieri è giunta l’amara verità: con il suo tweet Renzi non si riferiva al ministro della Giustizia, bensì al sindaco di Salerno (nonché viceministro delle Infrastrutture) Vincenzo De Luca, iscritto per la seconda volta nel registro degli indagati per la costruzione di un mega-complesso edilizio sul lungomare del capoluogo campano.
Cioè, ricapitolando: per Renzi De Luca (indagato) non deve dimettersi, in quanto “solo indagato”, mentre Cancellieri (non indagata) deve dimettersi, per questioni di “opportunità politica”.
Ci ritroviamo immersi, ancora una volta, nel favoloso mondo delle contraddizioni del Rottamatore fiorentino. Un mondo nel quale, tra le tante cose, la concezione garantista dello stato di diritto funziona solo ad intermittenza.
Funzionava ieri, quando da difendere era De Luca, fresco sostenitore della campagna renziana (“Renzi è una forza fresca e dinamica, ed è auspicabile un suo successo”) e sindaco di una città che nelle primarie dei circoli Pd di qualche giorno fa ha visto trionfare lo sfidante di Cuperlo con il 97,12% delle preferenze: 2.566 voti a 50. Un plebiscito, frutto di un tesseramento dai contorni forse illegali, anch’esso infatti sbarcato alla procura di Salerno.
Il garantismo renziano non funzionava, invece, mercoledì scorso, quando alla Camera si votava sulla sfiducia nei confronti della Guardasigilli. “Il ministro Cancellieri deve dimettersi, in questa vicenda si intrecciano una serie di messaggi in cui sembra che la legge non sia uguale per tutti” dichiarava Renzi prima che l’Aula dicesse no alla sfiducia. Un concetto ribadito con una costanza inusuale anche il giorno dopo: “Letta ha sbagliato, io avrei fatto votare la sfiducia”.
E pensare che il giovane aspirante segretario democratico, prima del voto, si era addirittura scagliato contro i “vent’anni di giustizialismo soprattutto mediatico” che hanno trasformato uno “strumento a favore della difesa (l’avviso di garanzia, ndr) in una condanna preventiva”. Peccato che dopo questa stoccata inaspettata al giustizialismo di sinistra, proprio sul più bello, il sindaco fiorentino si era detto favorevole alle dimissioni di Cancellieri “indipendentemente dall’avviso di garanzia o meno”. Per la gioia proprio di quel feroce circo “mediatico”, capitanato da La Repubblica.
Chissà, fosse emersa in un altro giorno, la vicenda dei Ligresti, Cancellieri avrebbe potuto godere del pieno appoggio garantista di Renzi. Purtroppo però lo spirito del fiorentino è cangiante, va a targhe alterne, e il caso Cancellieri deve essere finito sulla sua scrivania proprio nella giornata sbagliata.
Ben più fortunato, invece, è stato De Luca: “Il giudizio su Salerno lo danno i salernitani” (cosa significa poi, non si sa). Una cosa è chiara di fronte a questa confusione. E cioè che quella “battaglia culturale” contro il giustizialismo, annunciata da Renzi nel caso riuscisse a diventare segretario del Pd, registra già una vittima, senza essere neanche iniziata: il suo stesso ideatore.
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