Le parole del procuratore capo di Torino Giancarlo Caselli sulla vicenda Cancellieri-Ligresti (“I domiciliari sono stati concessi a Giulia Ligresti esclusivamente in base a decisive circostanze obbiettive”) avevano smontato dal punto di vista sostanziale l’intero quadro accusatorio nei confronti del ministro della Giustizia, rivelando inoltre i caratteri strumentali di un’offensiva mediatico-politica (capitanata da Repubblica) tuttora di dubbie finalità.
Proprio mentre il castello delle invettive crollava, però, proprio dal quotidiano debenedettiano è giunta la clamorosa notizia: il ministro Cancellieri avrebbe evitato di citare, durante l’interrogatorio con i pm di Torino, una telefonata da lei stessa fatta il giorno prima ad Antonino Ligresti, fratello di Salvatore.
Tutta un’altra accusa (falsa testimonianza), dunque, peraltro lanciata attraverso la tradizionale pubblicazione di tabulati telefonici ottenuti illegalmente (relativi peraltro ad una persona non indagata, quale è il fratello di Salvatore Ligresti), che così permette di continuare l’aggressione politica verso il ministro senza batter ciglio o prendere atto dell’inconsistenza delle precedenti imputazioni.
Le ambiguità della vicenda, tuttavia, non sono scomparse, anzi. Alcune di queste sono state evidenziate in un documento, rivelato da La Stampa, che circola all’interno del ministero della Giustizia e che contesta almeno cinque atti illegittimi compiuti dalla procura di Torino, tra cui: la violazione della competenza del Tribunale dei ministri, la decisione di interrogare il ministro come persona informata dei fatti e non come indagata, e la violazione delle garanzie costituzionali che impongono l’autorizzazione del Parlamento per l’uso delle intercettazioni di un ministro.
Come si può capire, le domande sono ancora tante, ma tale è la sicurezza con cui La Repubblica alimenta il flusso accusatorio verso la Guardasigilli, e tale è la fermezza con cui il quotidiano chiede a gran voce le sue dimissioni, che anche tutti i candidati alle prossime primarie del Partito Democratico – Cuperlo, Renzi, Civati e Pittella – dopo lunghe, approfondite ed indipendenti riflessioni hanno deciso di propendere per la sfiducia. Il caso, o la sfiga, direbbe qualcuno.
A dir poco curiosa, quindi, di fronte all’ennesima conferma della desolante subalternità politico-culturale del centrosinistra al partito di Repubblica, appare la volontà espressa ieri dagli esponenti del Pd di dribblare la mozione di sfiducia del Movimento 5 Stelle nei confronti del ministro Cancellieri (mercoledì prossimo), presentandone una propria, quasi a voler dimostrare con fierezza un’autonoma capacità di giudizio che, in realtà, si fa molta fatica ad intravedere.
L’obiettivo delle manovre condotte dall’ingegner De Benedetti e dal suo gruppo Espresso (compreso il “braccio armato” Micromega, che da alcune ore ha lanciato ad alta voce una raccolta firme per invitare i parlamentari del Pd a votare la sfiducia con i grillini), sembra ancora poco chiaro. Picconare in modo definitivo il già claudicante governo Letta risulta essere lo scopo più probabile, ma tutto resta ancora da vedere. Sulle pagine di Repubblica, ovviamente.
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