Di Pietro o Casini, questo è il problema.
Ma anche solo l’ultimo bel dilemma in ordine di tempo che arrovella in questi giorni le teste d’uovo del Pd. La questione è di quelle non proprio esaltanti che riguardano le strategie e le future alleanze elettorali.
In proposito, Antonio Di Pietro, ringalluzzito nel frattempo dall’ennesima discesa in campo di Silvio Berlusconi, che potrà forse dargli nuova linfa vitale, teme di non ricevere il trattamento da signore donatogli da Veltroni alle ultime elezioni, grazie al quale ottenne un esercito di deputati con il minimo sforzo.
Infatti, delusi anche da come sono andate le cose nella Legislatura e dalla cattiva riuscita fatta dalla classe dirigente certosinamente selezionata dal leader di Italia dei valori (vedi De Gregorio e Scilipoti), i vertici del Pd non sembrano essere disposti questa volta a imbarcare una mina vagante.
Tuttavia, all’interno del partito c’è chi la pensa in modo diverso. Il rottamatore della prima ora Pippo Civati, per esempio, già in conflitto con i vertici e “precluso” per le sue posizioni troppo gayfriendly, preferisce invece un’alleanza ancien regime stile foto di Vasto e non vede per nulla bene – pena l’uscita dal Pd - l’ipotesi di un accordo con Pierferdinando Casini, fresco di polemica sulle nozze incivili e contro natura fra gay.
Ma contrariamente a quanto si possa pensare, non è la discriminante frocia a rendere Casini davvero indigesto al gruppo guidato da Civati, bensì il cosiddetto fattore B. Come Casini per le nozze gay, Civati ne fa una questione di civiltà, perché "non si va al governo nazionale con Casini che ha governato assieme a Berlusconi … se no la gente non capisce più niente. Meglio Vendola e Di Pietro".
Ma proprio su Di Pietro e sulle posizioni in punta di antiberlusconismo, l’altro rottamatore storico, Renzi, pare avere idee ancora differenti e, se vogliamo, “rivoluzionarie”. Il sindaco di Firenze - non proprio un campione di simpatia - oltre a voler rottamare Di Pietro, scrive alla “società civile" del giornale Repubblica per ribadire il suo basta con l’antiberlusconismo e un certo modo fallimentare di fare opposizione a Berlusconi, sottolineando fra l’altro di non stare “a sinistra, insomma, perché parlo male di Berlusconi. Sto a sinistra perché voglio parlar bene dell'Italia". Olè!
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