“Felice di essermi liberato dalla discussione sulle regole”, le ultime parole famose in stile settimana enigmistica di Pippo Civati hanno preceduto di poco l’epilogo tragicomico dell’assemblea nazionale del Pd, svoltasi a Roma venerdì e sabato.
E dire che dopo gli interventi di Cuperlo e Renzi sembrava davvero avviata la fase congressuale tanto attesa. Su un punto almeno tutti apparivano in sintonia: la convinzione e la consapevolezza di poter cambiare il Paese. Non avevano fatto i conti con l’incapacità, ormai cronica, di trovare intanto un minimo accordo sulle regole del gioco interno.
Tutto era iniziato di primo mattino con il frutto faticoso della lunga nottata di trattative della Commissione per il Congresso, che aveva prodotto un documento contenente alcune modifiche statutarie da far approvare in assemblea. Il passaggio più delicato riguardava la modifica dell’art. 3 dello Statuto – definito “architrave” da Enrico Morando - con la quale si voleva superare “l’automatismo fra segreteria e candidatura a premier”: una norma fatta su misura per Renzi; o meglio, per frenare le velleità di asso piglia tutto del sindaco d Firenze.
Il colpo di mano alla fine non è riuscito. Il fuoco di fila contro le modifiche statutarie hanno visto uniti con diverse motivazioni più fronti per altri versi contrapposti. Come arma di ricatto è stata usata la verifica del numero legale previsto per validare il voto in assemblea. Eh già, il numero di voti… Bastava, infatti, un rapido colpo d’occhio alla sala mezza vuota già dal giorno prima per capire che i numeri necessari non c’erano.
Così, a votazione in corso, il presidente dell’Assemblea Marina Sereni è stata costretta a un dietrofront imbarazzante: altolà! Votazione sospesa e riunione d’urgenza della commissione con non decisione finale. Dopo un’ora il traghettatore Epifani annunciava così che le modifiche statutarie non sarebbero state messe al voto, al Congresso si sarebbe andati con le norme di sempre.
Ma quando? L’8 dicembre, secondo quanto proposto il giorno prima. In tempi dunque strettissimi, se si considerano le lungaggini precongressuali stabilite dallo statuto vigente. Non a caso, dopo il rompete le righe, c’era chi insinuava il dubbio che poi alla fine il giorno dell’Immacolata difficilmente si concepirà il segretario. Circostanza che potrebbe essere sotto sotto caldeggiata da chi ha a cuore all’interno del partito le sorti del Governo Letta.
L’elezione di un segretario/candidato premier (Renzi) a Dicembre costituirebbe infatti una batteria di dinamite pronta a esplodere sotto le sedie delle Larghe intese. I proposito, Enrico Morando ha ripetuto come un mantra ai giornalisti in capannello nella hall dell’auditorium della Conciliazione che se “abbiamo fatto le Parlamentarie fra Natale e Capodanno, vuoi vedere che non riusciamo a fare un congresso con Primarie in tre mesi?!”
Appunto, vediamo!
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