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16/11/24 ore

Referendum radicali, il Grillo mutante


  • Ermes Antonucci

Da anni sostiene di voler riformare la democrazia italiana, realizzando una sorta di assemblea ateniese 2.0 e restituendo la politica nelle mani dei cittadini, attraverso proposte di legge, petizioni, referendum propositivi. Ma gli ideali di Beppe Grillo, si sa, sono mutevoli e cambiano a seconda della giornata. E’ valso in passato con gli esperimenti di democrazia diretta attuati sul suo blog, e vale, oggi, con i dodici referendum proposti dai radicali. Sostenuti e poi abbandonati al loro destino in circostanze alquanto bizzarre.

 

Siamo agli inizi di luglio e il leader del Movimento 5 Stelle non ha esitazioni a rispondere alle domande su un suo sostegno per la raccolta firme radicale: “Assolutamente sì, generalmente i referendum e le azioni dei Radicali sono quasi tutte condivisibili”. Anzi, il guru pentastellato ha anche modo di rivolgere parole dolci a Marco Pannella: “Bisogna rispettarlo per quello che è e per quello che è stato per la politica italiana, un guerriero”.

 

Passano solo dieci giorni, tuttavia, e Grillo cambia completamente idea. A rivelarlo è l’ex leader della quasi defunta Idv, Antonio Di Pietro, che aveva rivolto all’ex comico un’accorata lettera affinché cambiasse idea sulle proposte radicali che – testuali parole – “sono una manna dal cielo per il pregiudicato Berlusconi, un’ennesima umiliazione della Carta costituzionale, uno sfregio alla giustizia”.

 

Di Pietro, infatti, fa sapere di aver sentito Grillo per telefono e che questo ha detto sì al suo appello “per difendere il Paese dai massoni e dai tentativi di stravolgere la Costituzione”. “Mi ha detto – rende noto l’ex magistrato – ‘Antonio, hai ragione. Mi sono informato. Sai, io ho sempre stimato Pannella, le sue battaglie libertarie. Ma ho fatto una cazzata, perché certo non darò io una mano a Berlusconi’“. “L’altro giorno – avrebbe aggiunto Grillo – mi hanno fatto una domanda e ho detto che avrei sostenuto i referendum. Ma in realtà non conoscevo neanche bene il merito della questione”.

 

Insomma, il fervente fautore di quella democrazia partecipativa in cui tutto ruota attorno al referendum, in realtà non avrebbe neanche letto i quesiti radicali prima di esprimerne la sua adesione, poi ritirata. Ma dietro al ripensamento del leader del M5S ci sarebbe qualcosa di più di una semplice telefonata.

 

A determinare il dietrofront sembra piuttosto che sia stata una concezione dello strumento referendario, nelle sue modalità d’uso e nelle sue finalità, totalmente differente da quella fatta propria dai radicali nel corso della loro storia, vale a dire come una chiave che la Costituzione italiana offre ai cittadini per aggirare le zavorre corporative e partitocratiche.

 

L’idea grillina di referendum si presenta diversa, strumentale e per questo demagogica. Lo scopo non è quello di permettere ai cittadini di esprimersi politicamente attraverso una via alternativa al sistema dei partiti, bensì quello di metter su una caciara il più possibile attraente dal punto di vista mediatico, lasciando da parte le implicazioni politiche che poi vanno concretamente a determinarsi.

 

Un chiaro esempio è stato fornito proprio da Grillo il 25 aprile 2008, quando decise di organizzare il V2-Day con l’obiettivo di raccogliere 500mila firme per presentare tre referendum abrogativi. Il tentativo fu fallimentare: nonostante i proclami sulla raccolta di 1.300.000 firme per ciascun quesito, la Corte di Cassazione bocciò i tre referendum a causa delle procedure “formalmente non corrette” seguite per la raccolta di diverse centinaia di migliaia di firme.

 

Un’assoluta impreparazione, quella di Grillo e degli organizzatori, che dà l’idea di quanto sia scarsa e secondaria l’importanza effettiva e legislativa riconosciuta da Grillo allo strumento del referendum.


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