Resta alta la mobilitazione degli attivisti a 5 stelle, dopo l’occupazione del tetto di Montecitorio da parte di 12 parlamentari, per protestare contro la modifica dell’art. 138 della Costituzione. Se nel merito della questione, tuttavia, le critiche del Movimento 5 Stelle possono apparire comprensibili, lascia a dir poco perplessi il modo con cui la rimostranza dei grillini sta contribuendo – ancora una volta – a distorcere o a mettere in secondo piano le ragioni reali della protesta, andando quindi paradossalmente contro gli stessi interessi del movimento.
Ma andiamo con ordine. Il disegno di legge costituzionale n. 813, approvato al Senato e ora in discussione alla Camera, mira a modificare l’iter del procedimento di revisione della Costituzione previsto dall’art. 138. Attualmente, l’art. 138 prevede che le leggi di modifica della Costituzione e le altre leggi costituzionali debbano essere approvate da ciascuna Camera con due distinte deliberazioni, a distanza di almeno 3 mesi. Una volta approvata la legge, il referendum confermativo può essere richiesto (da un quinto dei membri di una Camera, cinquecentomila elettori o cinque consigli regionali) solo se nella seconda votazione in Parlamento essa non è stata approvata da almeno 2/3 dei componenti delle Camere.
Il ddl n. 813 istituisce una procedura straordinaria per l’approvazione delle riforme costituzionali in deroga a quella ordinaria, con il conferimento della funzione referente ad un unico Comitato bicamerale (e non alle Commissioni di Camera e Senato), composto da venti senatori e venti deputati, nominati dai rispettivi presidenti (anch’essi facenti parte del Comitato) rispecchiando la proporzione tra i gruppi parlamentari. Le proposte del Comitato verrebbero poi sottoposte all’esame delle Camere, che sarebbero tenute ad approvare le riforme entro 18 mesi dall’avvio dell’iter, in virtù anche della riduzione da tre mesi a quarantacinque giorni dell'intervallo tra la prima e la seconda deliberazione. La legge, infine, sarebbe sottoposta ad uno o più referendum confermativi a prescindere dalla maggioranza con cui è stata approvata.
Il percorso di revisione costituzionale tracciato dal ddl n. 813, come si diceva in precedenza, presenta molti punti discutibili. Innanzitutto, come ha notato il prof. Alessandro Pace su Repubblica, l’ampiezza delle materie potenzialmente soggette a revisione. Il ddl prevedeva la possibilità di revisionare i titoli I, II, III e V della Parte II della Costituzione, ma l’insieme delle materie è stato poi ampliato – in modo abnorme sostengono in molti – nel testo approvato in Senato, comprendendo tutte le norme relative al Parlamento, al Presidente della Repubblica, al Governo, alle Regioni, Province, Comuni, e forse anche alla Magistratura e alle Garanzie costituzionali.
La procedura, inoltre, appare alquanto confusa, tant’è che il prof. Salvatore Settis ha espresso le sue perplessità parlando di “Costituzione-matrioska”: “Come in un gioco di scatole cinesi, la nuova Costituzione che sarà approvata dalle Camere contiene una scatola più piccola, quella della Commissione dei 42 prevista dal ddl 813, che predisporrà i testi da portare poi in aula. Dentro questa scatola, un’altra ancora: la Commissione per le riforme istituzionali nominata dal governo Letta il 12 giugno (i 35 “saggi”). E infine la scatola più piccola, i “saggi” nominati dal Presidente della Repubblica il 30 marzo, che in quattro e quattr’otto ha prodotto le sue proposte di riforma costituzionale, datate 12 aprile”.
Anche l’idea che la creazione di un Comitato ad hoc possa facilitare l’avvio e l’iter di revisione della Costituzione contrasta con i tentativi di modifica costituzionale portati avanti negli ultimi decenni. “Alle luce delle esperienze di revisione costituzionale a partire dal 1983 – ha ricordato Massimo Siclari, ordinario di Diritto costituzionale presso l’Università Roma Tre – si è registrato che ogni qualvolta si è seguito un organismo costituzionalmente non previsto le finalità riformatrici sono state puntualmente frustrate, mentre le modifiche andate a buon fine – per così dire – sono state approvate con il procedimento previsto dall’art. 138”.
I dubbi, insomma, sono numerosi e complessi, e per questo rimandiamo al lungo ed approfondito seminario sul ddl 813 tenutosi, l’11 luglio scorso, all’Università Roma Tre con la partecipazione di vari esperti di diritto costituzionale. Detto ciò, occorre purtroppo constatare che, proprio in virtù del comportamento dei parlamentari del gruppo 5 stelle, la battaglia contro la riforma dell’art. 138 ha finito anch’essa col sottostare alla suprema logica grillina della superficialità demagogica, mirante solo ad ottenere un’immediata quanto inconsistente visibilità elettorale.
Mentre i deputati pentastellati occupavano il tetto di Palazzo Montecitorio, infatti, il blog di Beppe Grillo si è riempito di post riguardanti la protesta, ma privi delle reali motivazioni di tale gesto. L’unico proclama il seguente: “Un Parlamento di nominati, pieno zeppo di piduisti, in tempo di crisi e sotto ricatto di Berlusconi vuole modificare la Costituzione senza nemmeno rispettare le regole!”.
Perfino nei materiali informativi ufficiali del Movimento a prevalere è la visione (supposizione) politica della riforma, piuttosto che il contenuto giuridico di essa. In un volantino, dopo aver dato l’allarme sulle riforme che vorrebbero modificare “la costituzione più bella del mondo” (sic!), si spiega che l’obiettivo è quello di “arrivare ad uno sgangherato presidenzialismo o semi-presidenzialismo ed accentrare il potere nelle mani di pochi, i soliti pochi, a discapito dei molti” Anche in un altro volantino si afferma che “il partito unico” sta cercando di ribaltare l’assetto democratico dello Stato, “aggirando le regole dell’art. 138 della Costituzione in senso presidenzialista, con l’obiettivo di accentrare il potere nelle mani di pochi”. Come a dire che ogni Paese avente una forma di governo di tipo presidenziale o semi-presidenziale, dalla Francia agli Usa, sarebbe in realtà antidemocratico ed autoritario.
Insomma non si lamentino i grillini, se poi le loro manifestazioni vengono strumentalizzate dagli avversari politici.
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