Sembrava che la guerriglia interna tra Matteo Renzi e la dirigenza del Partito Democratico si fosse attenuata, tanto che erano iniziate a circolare notizie di una clamorosa apertura nei confronti del sindaco di Firenze da parte delle massime autorità del partito, e addirittura anche di Massimo D’Alema. L’armonia invece è durata poco.
All’incontro di ieri organizzato dai bersaniani per presentare il documento “Fare il Pd” e discutere delle regole del prossimo congresso, sono stati invitati esponenti di tutte le anime del partito. Tutti i big hanno risposto all’appello: Bersani, Epifani, D’Alema, Fioroni, Franceschini, Finocchiario, Cuperlo, Meloni e Mosca (lettiani). Tutti tranne Renzi, che evidentemente ha anche dato ordine ai suoi di non presenziare all’appuntamento.
L’immagine che quindi è emersa dell’incontro è stata quella di un “correntone” in preparazione anti-Renzi, una lettura che non è piaciuta a Massimo D’Alema, che ha imputato la polemica proprio alla deliberata assenza del Rottamatore: “Non nasce nessun correntone, questa è un’idiozia, non so chi l’abbia scritta. Renzi? Credo che giochi un po’ a fare la vittima. Secondo me sbaglia, dovrebbe essere qui”.
Alle parole del Leader Maximo il sindaco di Firenze ha risposto in serata: “Non debbo chiedere il premesso a Massimo D'Alema per candidarmi”. E sull’incontro: “L’assemblea di oggi del Pd era un’assemblea di una corrente che si è riunita per parlare di me. Pensare che questi signori autorevoli, che hanno fatto tante cose nel passato, passino il pomeriggio a parlare delle mosse di Renzi anziché a lavorare, mi dispiace, mi lascia spaesato”.
Occorre osservare che se nelle primarie dello scorso novembre i tentativi di respingimento e boicottaggio del Rottamatore fiorentino portati avanti dall’establishment furono evidenti, con una trafila imbarazzante di regole, regolette ed esclusioni, questa volta – complice anche una presa d’atto del serpeggiante fastidio nell’elettorato – le cose sembrano andare molto diversamente. Tuttavia Renzi pare ci abbia preso gusto, a svolgere il ruolo del ribelle emarginato.
D’altronde, di fronte a un Pd immerso in una marea di tensioni e conflitti tra le sue varie correnti interne, assumere la figura di istituzionale rappresentante di partito, sì, ma allo stesso tempo di ostile outsider, risulta essere sicuramente una strategia redditizia. Con buona pace dei diffusi inviti a moderare i toni (“In questi mesi siamo passati a riconoscerci non più come ex Margherita ed ex Ds, ma addirittura come comunisti e democristiani. Attenzione: è pericoloso” l’allarme lanciato oggi da Franceschini).
E chissà, allora, se anche questa volta il sindaco fiorentino deciderà di condurre il dibattito delle primarie nuovamente verso il piano della mera conflittualità, quella “d’occasione”, che permette senza tanti problemi di mobilitare i propri sostenitori contro l’immagine di una dirigenza arroccata su se stessa. Senza, dunque, giocarsi la competizione elettorale sul piano del concreto contenuto politico, che già a novembre fu molto arduo da rintracciare, soprattutto da parte del giovane “innovatore”.
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