Due giorni fa il Corriere della Sera ha realizzato un’intervista al guru del Movimento 5 Stelle, Gianroberto Casaleggio. L’intervista ha fatto molto discutere, soprattutto perché ospitata dalla corazzata editoriale di Via Solferino, anche se poi è stata relegata ai margini del giornale, quasi a voler sottolineare la volontà di non dare spazio a certi personaggi.
Di seguito sono riportate le domande principali dell’intervista e, in corsivo, le rispettive note di Agenzia Radicale che cercano di approfondire le tematiche più importanti emerse nel corso della conversazione, nonché le ambiguità e le contraddizioni espresse da Casaleggio.
Casaleggio, l’enciclopedia online Wikipedia definisce democrazia digitale «la forma di democrazia diretta in cui vengono utilizzate le moderne tecnologie dell’informazione e della comunicazione nelle consultazioni popolari». Si ritrova in questa definizione?
«No, la democrazia diretta, resa possibile dalla Rete, non è relativa soltanto alle consultazioni popolari, ma a una nuova centralità del cittadino nella società. Le organizzazioni politiche e sociali attuali saranno destrutturate, alcune scompariranno».
Casaleggio dichiara che «la democrazia diretta non è relativa soltanto alle consultazioni popolari, ma a una nuova centralità del cittadino nella società». La prima parte della risposta risulta essere giusta e puntuale, dal momento che la cosiddetta e-democracy non si concretizza solo nell’atto del voto, ma riguarda i processi politici in senso lato. La seconda parte della risposta, però, appare come un semplice slogan e, inoltre, pone dei seri interrogativi sulla discussa centralità futura dell’individuo nella Rete (immerso in un mare magnum di informazioni e di utenti, quale centralità guadagna il cittadino?)
La democrazia diretta sostituisce il Parlamento?
«È più corretto dire che ne muta la natura, gli eletti devono comportarsi da portavoce, il loro compito è sviluppare il programma elettorale e mantenere gli impegni presi con chi li ha votati. Ogni collegio elettorale dovrebbe essere in grado di sfiduciare e quindi di far dimettere il parlamentare che si sottrae ai suoi obblighi in ogni momento attraverso referendum locali».
Lei ha sostenuto che la politica del futuro sarà fatta dai cittadini senza intermediazione dei partiti. Un sistema di democrazia diretta implica modifiche sostanziali della Costituzione, quali?
«Le più immediate sono il referendum propositivo senza quorum, l’obbligatorietà della discussione parlamentare delle leggi di iniziativa popolare, l’elezione diretta del candidato che deve essere residente nel collegio dove si presenta, l’abolizione del voto segreto, l’introduzione del vincolo di mandato. È necessario rivedere l’architettura costituzionale nel suo complesso in funzione della democrazia diretta».
Dell’introduzione del vincolo di mandato abbiamo già parlato diverse volte, evidenziando come questa disposizione possa rappresentare un salto all’indietro verso il Medioevo, dove il rapporto tra elettori ed eletti era di tipo privatistico: i rappresentanti erano ambasciatori, emissari, portavoce che portavano la parola dei loro padroni e signori. Tra l’altro alcune pratiche orientate in quella direzione e attuate in alcuni paesi (Serbia e Slovacchia) sono state più volte condannate dalla giustizia europea. C’è da dire che la prassi delle dimissioni in bianco degli esponenti del M5S manifesta la stessa logica di fondo. Anche l’introduzione del referendum senza quorum implica diverse problematiche, a partire dal reale livello di interesse dei cittadini (da notare, per esempio, la bassissima partecipazione dei bolognesi al referendum sulle scuole paritarie di qualche settimana fa), fino al pericolo che gruppi di interesse ben organizzati e con ampia disponibilità di risorse siano in grado di mobilitare una massa di votanti per far approvare delle proposte in loro favore.
In Italia un terzo della popolazione non è connesso a Internet. Tra i 40milioni che si connettono almeno una volta al giorno, tanti ne fanno un utilizzo non funzionale alla partecipazione politica e al dibattito costruttivo. Come si coniuga il divario digitale con una politica mediata attraverso il web?
«Il digital divide in Italia è evidentemente voluto, se gran parte dei cittadini non può ancora connettersi alla Rete o non dispone della banda larga. Il MoVimento 5 Stelle ha ovviato a questo con incontri nelle piazze, attraverso banchetti presenti sul territorio e con il volantinaggio porta a porta. Si tratta in ogni caso di un periodo transitorio, nel tempo la maggioranza assoluta degli italiani sarà collegata in Rete. Internet diventerà come l’aria, come profetizzò Nicholas Negroponte».
Qui Casaleggio decide di concentrarsi sul tema del digital divide, sviando però la domanda principale della giornalista, che riguarda il livello di interesse politico delle persone su Internet. Si sostiene che la Rete rivoluzionerà la politica portando al centro delle attività decisionali il cittadino, ma quest’ultimo è veramente interessato? Come conciliare lo scenario iper-ottimistico di Casaleggio con il fatto che tanti utenti – forse la maggior parte – fanno un utilizzo della Rete «non funzionale alla partecipazione politica»?
Uno dei più grandi progetti di politica partecipativa di Obama, il portale aperto ai cittadini di petizioni online «We the People», ha raccolto in 3 anni solo 36 petizioni e la più votata può contare su 101 mila voti. Probabilmente la maggior parte degli elettori non ha e non vuole avere un’opinione su tutto: i cittadini non hanno né il tempo né le risorse cognitive per occuparsi delle politiche pubbliche e per questo delegano a esperti. Cosa ne pensa?
«In Rete, come nella realtà, è impossibile essere competenti su tutto. Però la Rete consente a gruppi con conoscenze e interessi simili dislocati nel mondo di mettersi in contatto e di formare una conoscenza superiore su qualunque aspetto in tempi molto brevi, condividendo esperienze e fatti».
Qui emerge una netta contraddizione. Alla prima domanda della giornalista, infatti, Casaleggio aveva risposto dicendo che «la democrazia rappresentativa, per delega, perderà significato», mentre ora invece afferma che «in Rete, come nella realtà, è impossibile essere competenti su tutto». Come a dire, quindi, che nella pratica la delega è inevitabile…
Si dice che il conflitto — il confronto tra posizioni divergenti — sia il sale della democrazia. Vale anche per la democrazia digitale?
«Le discussioni e i confronti in Rete sono continui attraverso i forum, le chat, i social media in una dimensione inimmaginabile prima nel mondo reale, e ciò avviene tra persone che vivono in ogni parte del pianeta. La domanda andrebbe rovesciata: “Il livello di confronto presente su Internet esiste nel mondo reale?”».
Qui sembra addirittura che Casaleggio non abbia mai consultato una pagina di commenti lasciati sul blog di Grillo o su gran parte dei siti presenti sul Web. Se lo facesse, Casaleggio si accorgerebbe che in realtà di solito ogni utente si limita a lasciare un suo commento (che raramente costituisce un’opinione), senza tanto preoccuparsi di quelli degli altri. Per di più si pone la domanda di come realizzare un confronto se ad intervenire su una piattaforma sono, in modo caotico, migliaia di persone.
Segretezza (nelle trattative) e leaderismo sono due caratteristiche della politica. Crede che il web possa eliminarle? Perché è giusto farlo?
«La trasparenza è uno dei princìpi di Internet e credo diventerà in futuro obbligatoria per qualunque governo o organizzazione. Non è corretto che qualcuno decida per i cittadini in base a logiche imperscrutabili e senza renderne conto. Il parlamentare o il presidente del Consiglio è un dipendente dei cittadini, non può sottrarsi al loro controllo, in caso contrario non si può parlare di democrazia diretta e forse neppure di democrazia».
Da questa domanda emerge l’importante questione del rapporto tra la spinta alla trasparenza insita nella Rete e la necessità governativa della segretezza. Un tema complesso, che meriterebbe ampie riflessioni. Per questo ci limitiamo a far notare che, se in presenza di segretezza «non si può parlare di democrazia», allora secondo Casaleggio in questo mondo non esiste neanche una democrazia.
Crede ancora — come si vede in «Gaia» — che nel 2020 ci sarà una terza guerra mondiale tra il blocco occidentale delle democrazie dirette (via web) e il blocco composto dalle «dittature orwelliane» di Cina, Russia e Medio Oriente?
«La Rete rende possibili due estremi: la democrazia diretta con la partecipazione collettiva e l’accesso a un’informazione non mediata, oppure una neo-dittatura orwelliana in cui si crede di conoscere la verità e di essere liberi, mentre si ubbidisce inconsapevolmente a regole dettate da un’organizzazione superiore. Può essere che si affermino entrambi.
Qui Casaleggio manifesta nuovamente la sua visione estremistica sul funzionamento e le potenzialità della Rete. O nasce una democrazia diretta o nasce una dittatura orwelliana. Una lettura radicale, intrisa di ideologia, che conduce inevitabilmente agli eccessi visionari sul futuro del mondo.
Nei lavori della Casaleggio Associati viene spesso messo in risalto il ruolo dei colossi del web (da Google ad Amazon) come intermediari della nuova produzione informativa e culturale. Non teme che la concentrazione di tecnica e sapere nelle mani di un oligopolio economico — come quello rappresentato dalle aziende in questione — sia una minaccia per il libero mercato e per una equa distribuzione di risorse?
«Il rischio è reale. Facebook e Google e altri colossi del web conoscono di noi più dei nostri amici e in futuro sapranno ancora di più. Queste informazioni possono essere utilizzate per vari scopi, non solo per proporci dei prodotti o dei servizi, come è stato evidenziato dal cosiddetto “Datagate”. È opportuno un controllo più stretto sulla gestione dei dati personali da parte dei governi, un nuovo sistema di regole. I dati personali, a mio avviso, appartengono alla persona, non alla piattaforma che li usa o ai motori che li catturano attraverso le nostre ricerche, e dovrebbero essere sempre esterni alle applicazioni di Rete».
Casaleggio svia la domanda sul ruolo egemonico esercitato su Internet dai colossi multinazionali come Google e Amazon. Concentra la sua attenzione sulla privacy, tuttavia la questione principale non riguarda solo i dati personali ma, come recita la domanda, «la produzione informativa e culturale della Rete». E su questo punto il problema si pone eccome.
Lei scrive che la Rete è «anti-capitalista e francescana», eppure i colossi che la dominano sembrano essere i prodotti più avanzati del capitalismo neoliberista. Cosa ne pensa?
«Il capitalismo non è morto con internet ed è ovvio che lo sfrutti per ottenere il massimo di profitto, ma non credo che questa sia la tendenza nel lungo termine. In Rete le idee hanno un valore superiore al denaro. Il MoVimento 5 Stelle ne è una prova. Ha ottenuto un grande risultato politico senza soldi, grazie alla partecipazione diretta dei cittadini e alla condivisione delle proposte».
Insomma, secondo Casaleggio l’iper-capitalismo neoliberista non si imporrà anche su Internet perché lì «le idee hanno un valore superiore al denaro». Una risposta che manifesta ancora una volta la logica estremistica di esaltazione delle supreme virtù della Rete.
La comunicazione via web del Movimento 5 Stelle sembra replicare un modello «broadcasting»: un blog-testata che comunica il messaggio dall’alto al basso, da uno a molti, per arrivare — effetto cassa di risonanza — su altri media: tv, radio, giornali. La presenza sui social media del M5S appare poco «social»: Beppe Grillo segue e ritwitta solo affiliati del movimento e non risponde mai su Twitter…
«La presenza di Beppe Grillo e del M5S è ovunque in Rete, non solo nel blog, ma in tutti i principali social media, nella piattaforma Meetup. La comunicazione, più che da uno a molti, avviene tra coloro che li frequentano. I post di Grillo sono l’avvio di una conversazione collettiva. Le domande più frequenti poste a Grillo in Rete spesso diventano materia di nuovi post che sono una forma di risposta altrimenti impossibile per i milioni di contatti».
Come abbiamo già avuto modo di sottolineare in precedenza, i post pubblicati da Grillo sul suo blog raramente danno avvio a una “conversazione collettiva”. I commenti dei lettori in realtà non riguardano quasi mai l’argomento trattato nel post. La domanda della giornalista sul ruolo poco “social” di Grillo in Rete è molto appropriata, dal momento che è evidente una concezione poco innovativa nell’uso dei social network e anche del blog. Una domanda sulle accuse di censura (eliminazione dei commenti) e sul ruolo del famoso “staff”, oltre che sulla sua identità, sarebbe stata interessante.
Può dirci in che fase è la piattaforma di partecipazione politica del Movimento 5 Stelle e in cosa somiglierà e divergerà dal software LiquidFeedback utilizzato dal Partito Pirata tedesco?
«Il termine esatto è applicazione, più che piattaforma. Il software utilizzato consentirà ai parlamentari di presentare in anteprima le loro proposte di legge agli iscritti che potranno integrarle, commentarle, “complementarle” entro un periodo determinato; inoltre in futuro gli iscritti avranno anche la possibilità di suggerire nuove proposte di legge ai parlamentari. Già ora i parlamentari possono porre delle domande agli iscritti al MoVimento 5 Stelle in Rete e ottenere delle risposte. L’elezione dei candidati al Parlamento è stata fatta in Rete, così come i nomi proposti alla presidenza della Repubblica e l’elezione dei capigruppo e lo stesso è avvenuto per alcune votazioni comunali e regionali».
Di questa famosa piattaforma di partecipazione Grillo e Casaleggio parlano da anni, senza però aver mai dato seguito alle promesse. Attirando così le critiche della base, che più di una volta ha pagato con l’espulsione queste richieste di chiarimento (si veda il caso Tavolazzi).
Distinguere il vero dal falso è una delle sfide più importanti per vincere la partita del web. Lei come si orienta e che bussola di orientamento propone?
«Per ogni informazione è necessario risalire alla fonte primaria e per le pubblicazioni in Rete purtroppo questo non sempre è vero. Anche per Wikipedia, che considera fonti attendibili i giornali e le riviste. Nel mio caso è stato pubblicato prima su una rivista e poi su Wikipedia che mio padre era un autista, ma, pur non avendo assolutamente nulla contro gli autisti, mio padre era un interprete di lingua russa».
Il problema dell’attendibilità delle notizie e della distinzione tra il vero e il falso è di prim’ordine sul Web. Casaleggio riconosce la necessità di «risalire alla fonte primaria» della notizia, avallando indirettamente l’operato dei giornalisti, e smentendo quindi lo scenario di una completa disintermediazione dell’informazione, dove sono i cittadini a dare le notizie (citizen journalism), non avendo però né piene competenze né tempo per verificarne l’attendibilità.
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