Il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo è certamente uno dei protagonisti della campagna elettorale in Sicilia che si concluderà con il voto di domenica prossima. A generare polemiche, oggi, è la notizia per la quale i candidati grillini per ottenere il placet del partito hanno dovuto firmare delle dimissioni in bianco. A porre il problema è stato il deputato radicale Matteo Mecacci, presidente della commissione diritti umani dell’Osce.
“Se domenica prossima fossi in Sicilia a monitorare le elezioni per conto dell'Osce - spiega Mecacci - dovrei segnalare una grave violazione della Costituzione italiana da parte del Movimento 5 Stelle. Mi riferisco all’annuncio che Grillo ha imposto a tutti i suoi candidati di firmare le dimissioni in bianco dal ruolo di consigliere regionale”.
“Si tratta – ha proseguito il deputato su Radio Radicale – di una pratica che la Corte europea dei diritti dell'uomo ha già condannato e che lede il diritto indisponibile di ogni eletto ad esercitare pienamente e liberamente il proprio mandato elettorale. Inoltre faccio notare come il sedicente nemico della partitocrazia mette così ancora più potere nelle mani dei partiti e non dei cittadini”.
La segnalazione di Mecacci, che comunque rivela una consuetudine consolidata (sono anni che qualunque esponente del M5S che riveste una carica è costretto a presentare le proprie dimissioni in assemblee pubbliche ogni 6 mesi affinché siano respinte o accettate) ha il merito di porre una questione molto importante in termini di democrazia. Appare evidente, infatti, che l’operato del rappresentante risulti condizionato da tale meccanismo, con la possibilità che si concretizzi una violazione dell’art. 67 della Costituzione che parla di “esercizio delle funzioni senza vincolo di mandato”.
La difesa principale dei grillini per la quale tale procedimento permette il contatto diretto tra elettori e rappresentanti, con la possibilità per i primi di valutare la condotta dei secondi, non regge. A rigor di logica, infatti, affinché tale sistema possa funzionare tutti gli elettori, nessuno escluso, sarebbero costretti a presentarsi in queste famose assemblee ed esprimere il loro giudizio.
Uno scenario difficile da realizzare, con la conseguenza che la possibilità di decidere sul futuro del rappresentante potrebbe spettare solo a una piccola parte dell’intero elettorato. L’idea poi – esposta nei commenti in Rete – che la regola dell’assoluta libertà ed autonomia dell’eletto non valga in quanto si sta parlando di un “movimento” e non di un “partito”, è senza dubbio assurda, e basata esclusivamente su un gioco lessicale.
Come ha ricordato Mecacci, non è la prima volta che viene utilizzato un metodo del genere: “A marzo sono stato capo della missione elettorale in Serbia, dove le dimissioni in bianco erano richieste da tutti i partiti. Firmate e date al capogruppo. Non è più così ora, dopo l’intervento dell’Osce”.
Mecacci segnala anche un altro caso, dalla Slovacchia, portato davanti alla Corte Europea dei diritti umani. “Anche De Gaulle voleva questo. E’ una cosa populista. Chi è il rappresentante di partito che ha diritto di avere in mano le dimissioni di un collega?”.
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