Al "governo del cambiamento" piacciono le cose complicate: sarà per un caso o per il gusto di forzare la mano a proposito di stato di diritto e violazione delle leggi in vigore. Accade così che la nomina di Paolo Savona alla presidenza della Consob faccia discutere e rimanga in bilico per tutta una serie di motivi che gli azzeccagarbugli di Palazzo Chigi intenderebbero aggirare.
Si parla di conflitto d'interessi, “dipendenza” e incompatibilità per l'attuale ministro degli Affari europei, che in un paese normale – come si usa dire – dovrebbero precludergli la nomina. Ora, visti i tempi, bisogna andarci cauti e rimettersi alle decisioni del Presidente Mattarella, che già qualche grattacapo ha creato alle mire del professore di origini sarde fortemente sponsorizzato dalla Lega di Salvini.
Ricordiamo cosa accadde con la nomina a ministro dell'Economia. Alla fine se ne fece nulla: Savona dovette accontentarsi di un ministero di ripiego, che per lui ha significato il sostanziale anonimato. La sua esperienza in questo governo è stata infatti impalpabile, non degna del blasone, mentre la possibiltà per manifestare una certa insofferenza è stata da lui colta più volte, non ultima quella che Agenzia Radicale ha documentato in occasione della pubblicazione di uno scritto inedito di Keynes.
Evidentemente il ministro si aspettava di avere un ruolo più incisivo a dispetto dell'incarico. La conclusione più logica e dignitosa sarebbe stata la firma delle dimissioni. Si è trovata invece la soluzione che può accontentare tutti: il governo, che probilmente voleva liberarsi dell'impiccio; lo stesso diretto interessato, che prende così due piccioni con una fava.
Se l'azzardo giallo-nero dovesse andare a buon fine, Savona avrebbe l'opportunità di chiudere la carriera in bellezza. Ci si augura, almeno, senza danni ulteriori per il Paese. (A.M.)
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