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18/05/24 ore

Calenda, quella cena fra twittomani che diventa un caso psichiatrico



Ri-leggersi o ri-guardarsi il giorno dopo, per vedere se accade come con quelle vecchie foto in cui non ci si riconosce e si prova vergogna per l'abbigliamento o la pettinatura démodé. Certi eccessi per overdose di social network - non ce ne voglia Carlo Calenda - vanno forse curati così: perché con l'uso smodato di twitter et similia si può smarrire il senso del patetico, se non pure del ridicolo.

 

La cena degli “sberleffi”, che ha messo per due giorni in crisi il Pd, ne è una dimostrazione e rimarca in modo lampante la differenza con chi nell'usare il diabolico mezzo sta molto più avanti, avendo smesso di parlarsi addosso come invece usano fare molti neofiti della politica politicante alla scoperta maldestra dei nuovi mezzi di comunicazione.

 

Calenda si mostra ora amareggiato, quanto mai incompreso e ignorato da un partito che lo vede ancora come un corpo estraneo. Anche se si può consolare col fatto di aver avuto il merito di evidenziare una volta di più il livello tragicomico del dibattito interno, dal quale lui stesso non esce benissimo.

 

E non ha nemmeno tutti i torti quando dice che “l’unico segretario che si dovrebbe candidare è il presidente dell’associazione di psichiatria”. Per quanto gli riguarda, suona anche come autocritica. O almeno si spera. (A.M.)

 

 

 

 


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