A volte ritornano, come si usa dire. Se necessario anche due, tre e forse più; grazie anche alla pochezza del panorama politico italiano che ridona nuova vita a chi in teoria avrebbe già dato. Tuttavia, per Francesco Storace si è creduto, a un certo punto con buone ragioni, che avesse fatto davvero il suo tempo. E invece no: c’è da "salvare" Roma Capitale dai disastri passati, compresi quelli provocati dall’ex sodale camerata Alemanno.
Quindi, eccolo di nuovo, sognando di ripetere la missione impossibile che lo portò a guidare la Regione Lazio. Per l’occasione, pur di sedurre l’elettorato di riferimento, Storace cavalca all’esordio il cavallo di battaglia della destra romana di questi anni: i due marò.
A onor del vero, i militari italiani - in stato di arresto in India con l’accusa di aver ucciso dei pescatori in acque territoriali indiane - con le elezioni amministrative c’azzeccano come i proverbiali cavoli a merenda. Ma volendo, sforzandosi pure, un link con le annose beghe comunali lo si può trovare forse con la ristorazione casereccia alla vaccinara, alle prese con le difficoltà dovute alla prolungata crisi economica, ma anche con la concorrenza delle tradizioni orientali che affascinano tanto e in tutti i sensi l’uomo d’Occidente.
Comunque sia, il gagliardo ex missino, si può immaginare all’insegna del “boia chi molla”, promette che se sarà “sindaco di Roma convocherà in Campidoglio l'ambasciatore dell'India per dirgli che se i marò non tornano in Italia entro dieci giorni si chiuderanno tutti i ristoranti indiani in città”. Questo "perché al ricatto - lui dice - si risponde con la fierezza e con la dignità". Con il pudore purtroppo no.
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