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16/11/24 ore

La marcia in più del Rugby femminile


  • Rugbycale

“Ma una donna può giocare a rugby?” è una delle domande più inutili che abbia sentito, e che continuo sovente a sentire, sul mondo della palla ovale; la risposta che ho sempre dato a questa inutile domanda è: “le donne non possono giocare a rugby, le donne devono giocare a rugby”.

 

Sebbene molto sottotraccia nel panorama mediatico sportivo nazionale ed internazionale, vantando un profilo di cronaca persino più basso di quello dei colleghi uomini, il rugby femminile non nego abbia saputo regalarmi momenti epici (in campo e negli spogliatoi) e di grandi soddisfazioni sportive.

 

Certo che esiste il rugby femminile, ci mancherebbe altro. Il rugby, in realtà, è più femminile di quanto non si pensi: lo spirito comunitario di unione empatica che lega le donne tra loro, la forza, la caparbietà e la determinazione che caratterizzano largamente il carattere femminile, sono elementi chiave (se non proprio gli elementi chiave) per uscire indenni o quasi da un campo da rugby; nessun uomo in terra può vantare la tenacia di una donna determinata a raggiungere uno scopo, una tenacia che può sfociare persino nella testardaggine.

 

Ed ecco qui, insomma, un rugbysta perfetto. Ma spesso queste parole non bastano a spiegare il rugby femminile. Nell'immaginario collettivo è pressoché impensabile immaginare una donna con scarpini e palla ovale in mano scalpitare in mezzo al fango cercando di rompere i placcaggi delle avversarie. Ma, si sa, l'immaginario collettivo è quello che ci porta a considerare il calcio superiore al rugby, quindi a commettere fondamentali errori di valutazione.

 

Eppure, il 14 ottobre prossimo, dodici squadre femminili, suddivise in due gironi, scenderanno in campo per contendersi il titolo femminile di campione d'Italia di rugby. Le campionesse in carica del Sitam Rivera del Brenta avranno un gran daffare per tenere a bada le avversarie, agguerritissime, già pronte e scalpitanti per iniziare la corsa che terminerà il 26 maggio prossimo con la finale per il titolo.

 

Non solo Treviso, Padova, Riviera del Brenta, Colorno, ma anche Terni, Monza, L'Aquila, il campionato sarà sicuramente combattuto nella sua tortuosa strada verso le finali; unitariamente al successo crescente che registra la Coppa Italia di Rugby a sette femminile, gli stimoli per le rugbyste nostrane sono molteplici ed interessanti, anche perchè dal rugby a sette l'obiettivo è quello di alzare (molto) il livello del rugby XV, cosicché quest'ultimo possa “generare maggior entusiasmo fra le atlete, gli appassionati ed i partner commerciali” afferma Cristina Tonna, responsabile FIR del settore femminile.

 

E allora si, il rugby va bene per tutti: uomini, bambini, donne. Anche gli “anziani” hanno le loro squadre, ho visto personalmente settantenni incattiviti come ventenni all'esordio di campionato. Ma il rugby femminile per certi versi ha una marcia in più, uno spirito che solo osservando, ascoltando e misurandosi contro una donna, in un campo di rugby, si può comprendere e, per forza di cose, rispettare. E se proprio non riescono a farti male sul campo, sanno come metterti in difficoltà al terzo tempo: cosa non da poco.


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