Mi è stato chiesto “perchè il rugby non è sport olimpico?”. La risposta è stata semplice: “perchè ci vediamo a Rio2016”; solo dopo (ho bisogno di tempo, d'altronde ho giocato in prima linea) ho capito che non era una risposta. Il rugby a 15 è già stato sport olimpico, di più: addirittura Pierre De Coubertin ha voluto con forza l'introduzione della palla ovale nei giochi del 1900, 1908, 1920 e 1924 ma non solo.
Il barone olimpico ha avuto un ruolo importantissimo anche nella nascita del campionato francese (1892) e della Nazionale dei galletti (1906). La prima medaglia d'oro la vinse la Francia (una selezione che contava anche il primo atleta di colore della storia dei giochi, Constantin Henriquez de Zubiera), poi l'Australia (oro nel 1908 in una storica partita nelle nebbie fangose inglesi contro la Cornovaglia) e gli Stati Uniti per due volte (nel 1920, contro la Francia sotto la pioggia di Anversa davanti ben 20mila spettatori e nel 1924).
Quella del 1924 fu un'Olimpiade di buffi aneddoti rugbystici, come l'arrivo degli Statunitensi in Francia: i funzionari di dogana rifiutarono l'ingresso della squadra che decise di “farsi strada” da sola; poi vennero loro sottratte le divise prima dell'esordio, proibito l'allenamento a Colombes e subirono fischi sonori da parte del pubblico ad ogni meta in ogni partita. Lo scontro finale, Francia-Usa, fu giocato davanti a 50mila francesi divisi dal campo da una barriera di fil di ferro: di fronte alla seconda sconfitta olimpica per mano degli americani (3-17 il punteggio) i 50mila invasero il campo insultando e picchiando tifosi e giocatori statunitensi, difesi da polizia e nazionale francese.
Il rugby, sport di gentiluomini, non uscì da quell'Olimpiade con una buona nomea; nel 1925 il barone De Coubertin abbandonò la presidenza del CIO, le federazioni britanniche non appoggiarono più la palla ovale e questa venne esclusa dai giochi.
Si è tentato per decenni di far tornare il rugby, tanto caro all'ideatore dei giochi, nell'Olimpo degli sport: 1960, 1980, 1988, 1995, 2002; erano epoche, anni duemila a parte, in cui il rugby era ancora uno sport dilettantistico, profondamente diverso dal rugby che vediamo oggi.
Il cavallo di Troia è il rugby a 7, una versione decisamente “televisiva”, veloce e spettacolare, certamente un rugby non da piloni (anche se qualche pilone moderno potrebbe sconfessarmi); inizialmente la sua introduzione venne proposta nel 2002, poi nel 2005 in vista della XXX Olimpiade di Londra; scartato, è stato nuovamente, e caparbiamente, riproposto al CIO e, il 9 ottobre 2009, arriva la notizia tanto attesa: il rugby 7 ottiene il riconoscimento di sport olimpico e debutterà ai Giochi della XXXI Olimpiade di Rio de Janeiro, nel 2016.
Sono tantissimi, innumerevoli, i rugbysti che si sono battuti per la reintroduzione di questo meraviglioso sport tra quelli olimpici; per non fare torti a nessuno, sarebbe impossibile elencarli tutti, citiamo solo l'ultimo in ordine cronologico: il pilone italiano Martin Castrogiovanni, che oltre a dichiararsi sempre desideroso di far parte di un'olimpiade come atleta, per arrivare a Londra ha ironicamente vestito i panni di pallanuotista, pallavolista e addirittura ginnasta, in alcuni spot esilaranti.
Purtroppo Castro non sarà in età olimpica per Rio de Janeiro: un pilone di 35anni non sarebbre propriamente “competitivo” nel rugby olimpico; siamo certi che il barone De Coubertin però si sarebbe vivamente complimentato: peccato che nessuno dei ragazzoni nella foto ci sarà (siamo sicuri?).