Un morto, oltre 500 feriti, piazza Tahir invasa dai lacrimogeni: a tre giorni dalle “dichiarazioni costituzionali” con cui il presidente egiziano Mohammed Morsi ha concentrato quasi tutti i poteri nelle sue mani, è questo il bilancio delle manifestazioni di protesta che stanno nuovamente precipitando l'Egitto in un clima di violenta tensione.
Morsi, primo presidente dello Stato nordafricano eletto democraticamente, oggi ha voluto precisare che la decisione di avocare a sé pieni poteri - attraverso un decreto che ha reso “inappellabili e definitive” le risoluzioni che di fatto lo pongono al si sopra della giustizia - é solo di natura “temporanea”, escludendo quindi qualsiasi mira autoritaria.
Con un comunicato, il successore di Mubarak ha espresso la volontà di aprire un dialogo nazionale con tutte le forze politiche e giudiziarie, cercando un possibile riavvicinamento con l'opposizione e i giudici. Intanto questi ultimi hanno indetto uno sciopero nazionale ad oltranza a cui si è unita la protesta dei giornalisti decisi a non farsi “imbavagliare” dal nuovo “Faraone”, così come è stato ribattezzato Morsi dall'ex capo dell'agenzia nucleare dell'Onu e esponente di spicco dell'opposizione, Mohamed El Baradei.
Nel tardo pomeriggio il presidente egiziano incontrerà il Consiglio giudiziario supremo, l'organo di autogoverno della magistratura che, nella persona di Ahmed Mekki, ministro della Giustizia, si è detto “fiducioso” sulla possibilità di ricucire lo strappo.
Ma per El Baradei non potrà esserci nessuno “compromesso perchè ci troviamo di fronte ad un presidente che impone la dittatura”: è necessario “il ritiro puro e semplice” delle dichiarazioni costituzionali con cui Morsi ha accentrato nelle sue mani tutto il potere, altrimenti – conclude il premio Nobel - “la svolta autoritaria rischia di precipitare l'Egitto in una guerra civile”. (red)
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