Fra tutti, il versante della politica estera è quello in cui si sono rivelate le maggiori lacune del governo italiano. Da tempo, il nostro Paese stenta ad avere un ruolo se non da protagonista, per lo meno adeguato ai problemi emergenti negli scenari internazionali. Dalle ondate migratorie, rimaste sostanzialmente senza controllo e gestite in nome di un velleitario umanitarismo, spesso inquinato da inconfessabili interessi di bottega interni, alla gestione dei dossier riguardanti la salvaguardia del nostro fabbisogno energetico, il comportamento italiano si è contraddistinto per un misto di irresolutezza e confusione.
È pur vero che tale condotta va ad inserirsi in un contesto che vede la stessa UE in gravi difficoltà, incapace di approntare una strategia all’altezza della complessità dei teatri di conflitto in corso, che sono pericolosamente contigui con il suo territorio. Indecisa a tutto sul fronte del movimento e della distribuzione dei migranti; oscillante tra la sudditanza agli indirizzi statunitensi e l’ambiguità tedesca nel rapporto con la Russia di Putin; debole e insicura nel fronteggiare la minaccia del terrorismo promosso dall’estremismo islamico, all’Europa manca una politica comune e, purtroppo, dall’Italia non è giunto un significativo contributo affinché possa delinearsi.
Sulle tensioni presenti nelle aree calde del mondo – dal confine euro-asiatico al Medioriente – e sui mutamenti intervenuti dopo il venir meno dell’illusione degli anni ‘90 che fece credere di poter fare a meno dei rapporti di forza, si sofferma Stefano Silvestri, del Consiglio direttivo dell’Istituto Affari Internazionali, in questa conversazione con il direttore di «QR» Giuseppe Rippa e il redattore capo Antonio Marulo, pubblicata su Quaderni Radicali 111. Pur risalendo ad alcuni mesi fa, l’intervista è densa di riferimenti e considerazioni che mantengono intatta la propria validità, anche in riferimento alla politica estera del governo Renzi, fornendo una chiave di lettura delle attuali vicende internazionali come pure delle ragioni che hanno provocato molte delle situazioni di crisi.
Dopo i fatti dell’Ucraina, i rapporti con la Russia di Putin sono andati complicandosi. Da un lato abbiamo assistito a una rinnovata volontà egemonica della Russia e, dall’altro, si è registrata una preoccupante incertezza e debolezza dell’Unione Europea che non è riuscita a farsi interlocutore per le ex repubbliche di quella che fu l’Unione sovietica. Incomprensioni e diffidenze, da entrambe le parti, hanno generato uno stato di tensione fra l’Occidente e la Russia, in un momento quanto mai critico delle prospettive mondiali…
L’Europa ha sempre avuto un problema con la Russia. La Russia è la grande piana che la collega all’Asia, fa parte dell’Europa nell’area maggiormente abitata ma nello stesso tempo non è mai stata realmente integrata con essa. Da un punto di vista culturale i Russi sono certamente europei, la loro religione è cristiana ortodossa, così come la letteratura russa rientra a pieno nel canone della tradizione occidentale. E tuttavia non siamo mai riusciti a instaurare con essa un rapporto che non fosse in qualche modo conflittuale.
C’è stato il tentativo – in qualche modo folklorico e coi colori della commedia dell’arte – di Pratica di Mare, quando l’allora premier Berlusconi presiedette l’incontro fra NATO e Russia. L’idea era quella di riuscire a far entrare la Russia nella NATO e anche nell’UE, ma vi è poi stata una forte resistenza a queste ipotesi che sono rimaste più che altro puramente potenziali. In realtà le due entità non si sono integrate e le colpe di questa mancata intesa sono perfettamente condivise, sia da parte russa che da parte occidentale.
Da parte occidentale, c’è stato il timore che la Russia fosse un’entità troppo grossa, per essere realmente integrata. Un timore sostenuto dalla convinzione che un’eventuale integrazione della Russia avrebbe finito per accelerare la distruzione stessa dell’Unione Europea. Nella NATO ha poi prevalso l’unicità della posizione americana, espressa in particolare da Bush jr. specie durante il suo primo mandato, in base alla quale si consentiva all’illusione secondo la quale gli USA potevano davvero esercitare un’egemonia mondiale. Questa politica si concentrò soprattutto sul Medioriente, considerando la Russia quasi trascurabile, come qualcosa che poteva essere ignorata e trattata con sufficienza, se non con ignoranza di certe sue problematiche. Ricordiamo tutti la richiesta di Bush, volta a ottenere dal Consiglio atlantico che l’Ucraina e la Georgia entrassero a far parte dell’alleanza. Al che molti europei storsero il naso, ma poi nessuno se la sentì di mettere il veto.
Dall’altra parte, la Russia ha sempre vissuto nella convinzione di essere essa stessa una grande potenza. E di non poter vivere in altro modo se non come una grande potenza. Quindi non poteva accettare una perdita della propria sovranità, come sarebbe stata il suo inserimento nell’UE o anche nella NATO. Il multiculturalismo non è mai stato realmente applicato dalla Russia o capito. La Russia pensa di essere il confine tra l’Europa e l’Asia, ha vissuto questa sua storia come necessità di proteggersi sia a est che a ovest. A questo aggiungiamo che la Russia, sia pure dopo la frammentazione seguita alla fine dell’URSS, resta il centro economico di una realtà che era stata integrata.
A favorire la condivisione di interessi e linguaggi ha contribuito la sopravvivenza di quadri ex comunisti ai vertici di molti Paesi ex sovietici. Anche dopo la fine dell’Unione Sovietica, la Russia è uno Stato plurinazionale e ha dovuto fronteggiare una guerra da un lato separatista e dall’altro islamista. Ha reagito a questa doppia guerra come a una ulteriore minaccia alla sua unità. Per questo ha voluto porre un termine all’indipendentismo caucasico, non perché questi Paesi fossero così essenziali ma perché era il simbolo della sua unità da recuperare. Aveva già vissuto l’uscita delle tre repubbliche baltiche, e non voleva che la cosa si ripetesse. Nella misura in cui questa non era solo una lotta indipendentista, ma anche islamista la Russia ha interpretato il conflitto come un modo per esercitare la sua funzione di baluardo nei confronti dell’Asia minore.
La politica economica occidentale non è stata gentile con la Russia, e la Russia non ha cercato integrazioni maggiori ma ha reagito chiudendosi, cercando una propria via allo sviluppo. Ragioni politiche complesse hanno poi portato, dopo la confusione eltsiniana e il tentativo di mafiosizzare la Russia, all’unificazione dei potentati sotto la guida di Putin.
La Russia continua a essere sostanzialmente un’oligarchia, che ha alla sua testa un uomo forte, un nuovo zar. Questo è ben compreso dal popolo russo, che lo vive come un fatto positivo perché garantisce l’unità della Russia e allontana il grande timore della sparizione, della frammentazione o dell’invasione. Lo Stato chiave di tutto questo discorso era ed è l’Ucraina, perché dopo tutto la Russia è nata in Ucraina. Qui ha sconfitto l’esercito svedese, mettendo fine alle scorribande e alle invasioni nel territorio russo. L’Ucraina è vissuta dalla Russia come qualcosa che – se collocata in un altro contesto – rischia di indebolire fortemente l’identità russa...
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