La crisi profonda del’Uunione Europea, la lotta all’Isis e al terrorismo internazionale, i rapporti con l’Iran, la Russia di Putin e l’America defilata, la questione Libia… i banchi di prova offerti dalla politica estera sono quanto mai complessi e necessitano di un approccio molto diverso da quello che tradizionalmente contraddistingue l’azione italiana sullo scacchiere internazionale. In tal senso, le scelte di basso profilo sui nomi per la Farnesina fatte da Matteo Renzi, pur di emergere personalmente, non hanno fin qui aiutato al #cambioverso. Così l’Italia resta tuttora ancorata a una visione chiusa e provinciale, con le beghe di politica interna che la fanno di gran lunga da padrone.
“Questo – come sostiene Andrea Margelletti del Centro Studi Internazionali, su Quaderni Radicali – innanzitutto perché la politica estera non è mai stata una priorità del mondo politico italiano. Il nostro è infatti un Paese dove si pensa al proprio campanile non rendendosi conto che il mondo è cambiato”…
Invece, “il nostro mondo gira intorno alle riforme costituzionali, alla Casta, alla macchina blu, all’immigrato che ha fatto una rapina; non c’è in questo Paese un dibattito politico su come affrontare una migrazione di milioni di persone, su come affrontare l’Isis, che rappresenta molto di più del problema se dare o meno l’autorizzazione ai Tornado dell’aeronautica militare di bombardare...
Manca un confronto politico su quale ruolo il governo italiano debba giocare in politica estera. È un dibattito che dovrebbe essere ovviamente condiviso nei media, essere parte della quotidianità di tutti noi. Invece tutto viene circoscritto nell’arco del Consiglio dei ministri, o di un consiglio anche più ristretto. Ciò rende il cittadino italiano assolutamente meno consapevole e il Paese più vulnerabile, perché i media si focalizzano sugli effetti ma non sulle cause.
Se si ha voglia e tempo di guardare un telegiornale francese o tedesco o britannico o turco (per quanto quest’ultimo molto veicolato), ci si accorge di come i temi dell’interesse strategico internazionale dei singoli Paesi, del ruolo che debbono avere in Medio oriente è parte del dibattito quotidiano. Ad esempio ci si interroga sugli errori nelle modalità scelte per armonizzare la tradizione europea e quella degli immigrati che sono arrivati nell’arco di tanti anni, ci si interroga sulla crisi in Francia del modello di integrazione o di assimilazione, se le banlieue siano un successo o un drammatico insuccesso; ci si pone davanti al problema che gli attentati degli ultimi dieci anni sono stati fatti da ‘europei’.
Da noi, invece, tutto si riduce al fatto che gli immigrati non devono arrivare. Non si pensa a come gestire la situazione. Non ci poniamo il problema del peso della laicità dello Stato, di essere figli della rivoluzione francese, di non essere cristiani, ebrei, musulmani, ma essere buoni cittadini rispettosi delle leggi… Tutto questo in Italia è assente. E dato che i politici sono prima di tutto cittadini, non possono che assumere empaticamente l’assenza di queste tematiche”….
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