È una di quelle cose che vanno sempre negate, anche di fronte all’evidenza. Un po’ come capita al coniuge fedifrago che sorpreso nudo al letto con l’amante si ostina a dire “cara, non è come pensi!”. Il governo così si trova costretto a ribadire di non aver mai pagato alcuni riscatto per i sequestri di italiani in zone di guerra. Eppure sembrano emergere in questi giorni pistole fumanti che attesterebbero un certo giro di milioni, grazie al quale sono tornati sani e salvi a casa Quirico, Greta e Vanessa, e prima di loro altri ancora. Se ciò è avvenuto non è uno scandalo, tanto meno va criminalizzato. Che ciò sia negato può capirsi per certi aspetti, che sia poi utile allo scopo è lecito dubitare.
Si ritiene che dare notizia dello scambio denaro/prigionieri invogli alla pratica del sequestro, come se il "passaparola" fra i diversi gruppi terroristici non abbia in fondo la sua efficacia. Quanto poi allo specifico italiano, non c’è alcun bisogno di negare, tanto meno di confermare alcunché. Non serve nemmeno il suddetto passaparola fra criminali nel deserto.
A torto o a ragione ci siamo infatti costruiti nel tempo un’invidiabile reputazione di ottimi pagatori. Ad ogni atterraggio a Ciampino con il sequestrato di turno, accompagnato dal ministro degli esteri in carica, l’insinuazione in proposito non è mai mancata, malgrado le note ufficiali tessevano lodi e lodi ai nostri mediatori sul campo. Il merito della restituzione dei prigionieri era solo ed esclusivamente da attribuire alla capacità persuasive e diplomatiche della nostra impareggiabile intelligence.
E allora ci si chiede, cosa abbiamo mai di speciale rispetto ad altri? Quali doti sopraffine possiamo vantare? Quale magico talento ci rende ben voluti a tal punto che anche i più spietati ci restituiscono i nostri connazionali rapiti senza nulla a pretendere?
La risposta a queste domande – salvo clamorose smentire - pare arrivare in questi giorni dall’inchiesta di Al Jaazera.
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