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18/11/24 ore

Armenia, si riscalda l'ambiente in una regione a rischio


  • Francesca Pisano

Nuove proteste, anche in Amenia. Dal 19 giugno, la popolazione nelle vie della Capitale – Erevan - ha manifestato per l’aumento delle tariffe dell’elettricità. Alla fine di queste giornate di scontri, sabato è arrivato l’annuncio del presidente Serzh Sargsyan sulla sospensione dei rincari. I contrasti fra i manifestanti e la polizia hanno raggiunto alti livelli di tensione: ad infiammare gli animi dei civili sono ragioni legate alla situazione economica del Paese che si ripercuotono sulla mancanza di lavoro, i bassi livelli dei salari e la diffusa corruzione.

 

In tutto ciò conserva il suo peso Mosca: l’aumento del costo dell’energia, infatti, - il terzo in meno di due anni – è stato richiesto dalla società russa Inter Rao, proprietaria della rete elettrica armena. Giustificazioni verrebbero trovate nella perdita di valore della moneta armena, il dram, dovuta a sua volta alla crisi economica russa e alla perdita di valore del rublo.

 

Eppure la Federazione di Mosca è il maggiore partner commerciale dell’Armenia, una certezza, traballante, che aveva trovato conferma, lo scorso gennaio, nell’adesione da parte armena all’Unione economica eurasiatica (Uee), una zona di libero scambio di beni, capitali, lavoro e servizi. Quest’area, di cui fanno parte anche Russia, Bielorussia e Kazakistan, dovrebbe portare in dieci anni, secondo i piani, a una crescita compresa fra il 17 e il 20% del pil per ciascuno degli stati membri.

 

Le avvisaglie però di una non perfetta complementarietà fra le economie coinvolte nella Uee fa riflettere sui trascorsi armeni, per le rinunce che lo stato di Erevan ha voluto fare prima rispetto all’Accordo di associazione con l’Unione europea e conseguentemente al Deep and Comprehensive Free Trade Agreement, sempre con l’UE.

 

E’ pur vero che l’Europa non ha saputo offrire all’Armenia migliori condizioni per favorirne un avvicinamento dalla sua parte, considerando gli elevati standard che ha mantenuto durante le trattative e che hanno impedito, piuttosto che agevolare, l’accesso delle merci armene sui mercati Ue. In tutto ciò, mal si teme per le ripercussioni che un inasprimento della situazione economica armena potrebbe avere sulla regione del Nagorno Karabach, territorio del Caucaso meridionale – da oltre 20 anni teatro immobile delle contese fra azeri e armeni – che è attualmente un’enclave azera occupata militarmente dall’Armenia e da cui dipende anche perché rappresenta il mercato in cui riversa le sue limitate esportazioni.

 

In tale contesto internazionale, in cui Russia ed Europa si costruiscono i propri totem a supporto di vecchie e nuove pretese egemoniche - per la maggior parte intessute sulle indistruttibili fila di interessi di carattere finanziario - di fronte agli scontri che sono recentemente divampati nelle strade di Everan, diversi politici russi hanno insinuato che gli animi del popolo armeno siano stati accesi da pressioni americane e da organizzazioni filo-occidentali.

 

Certamente il Caucaso meridionale è una zona nevralgica per gli interessi di molte altre potenze, fra le quali anche Stati Uniti, Turchia, Israele e Iran. Ma è pur vero che, da parte russa, ogni pretesto sembra opportuno per rafforzare i controlli sull’area dietro la promessa di una maggiore protezione da ingerenze esterne, mentre è più o meno latente per la Russia di Putin che i timori per una nuova Ucraina possano celarsi sotto la polvere delle recenti proteste armene.

 

 


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