Poche sono le certezze che rimbalzano tra i mezzi di informazione sul destino della Siria. Nonostante gli sforzi siano stati intensificati, nonostante la partecipazione e la vicinanza di associazioni umanitarie e illustri personalità, ad oggi il numero delle vittime ufficiale ammonta a 42.000 persone dall'inizio del conflitto.
Una guerra civile dove i primi a morire sono i bambini e in mezzo, tra i morti, oltre 2 milioni di sfollati, profughi a casa loro. La Turchia sembra infatti lontana e la Giordania non li vuole, il Libano non può accoglierli tutti e Israele non è un corridoio di fuga.
Nella trappola siriana si spera in un intervento internazionale: le Nazioni Unite parlano di un fondo di 1,5 miliardi di dollari da destinarsi per le emergenze umanitarie, ma nel contempo rimane la paura legittima che i soldi possano essere utilizzati dalle frange più estreme della ribellione.
Bashar al Assad non è più ora l'unico, ultimo, irriducibile ostacolo ad una eventuale transizione democratica: dopo mesi di confusione, è arrivata la conferma: Al Queda ha trovato un terreno dove rigenerarsi, mischiata tra le file di chi combatteva solo per i propri diritti. Addestrati a combattere, mercenari per costituzione guadagnano postazioni contro il regime e vengono celebrati nelle piazze.
Quando Obama inserisce al-Nusra nella lista nera delle organizzazioni terroristiche diventa chiaro a tutti che il conflitto non avrà rapide soluzioni. I ribelli non capiscono come la comunità internazionale possa rimanere a guardare un Paese che si dilania giorno dopo giorno; d'altro canto, mai come in questo momento è evidente che qualunque intervento diretto avrà delle conseguenze.
Così Obama riconosce la Coalizione nazionale siriana come interlocutore privilegiato ma non vuole mettere armi nelle mani dei ribelli (almeno ufficialmente), e la Russia sembra fare orecchie da mercante. Ed è stagnazione delle idee. Chi se ne è occupato da vicino come il Sottosegretario Generale per gli Affari Politici, Jeffrey Feltman, ha riferito nell'ultima relazione davanti al Consiglio di Sicurezza a 15 Nazioni: "Se non si fa nulla per cambiare le attuali dinamiche e trovare una risoluzione politica, il probabile risultato sarà la distruzione della Siria".
Dello stesso avviso Ban Ki Moon, che fu uno dei primi a cercare una soluzione pacifica al problema e che oggi dichiara: "La Siria è entrata nell'anno (2012) in conflitto e lo chiude in conflitto; giorno dopo giorno, il bilancio delle vittime è salito. Mese dopo mese, la ricaduta sulla popolazione è aumentata".
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