I Presidenti della Repubblica italiana che si sono succeduti dal 1948 in poi hanno avuto una caratteristica comune: per lo più erano politici a tutti gli effetti, senza che figurassero tra i personaggi principali. È noto infatti come, tutte le volte che hanno provato a candidarsi, i cosiddetti “cavalli di razza” abbiano sempre mancato l’obiettivo: da Fanfani ad Andreotti, da Moro a Nenni.
Mai abbiamo avuto al Quirinale personalità estranee al mondo politico, che provenissero da campi culturali o sociali. Al contrario, in altre nazioni si sono avute alla guida degli Stati personalità formatesi in ambiti artistici o accademici e che, fra l’altro, hanno dimostrato di lasciare un segno nei loro Paesi (un nome per tutti, Vaclav Havel nella Repubblica Ceca). Per le sue caratteristiche di carica sopra le parti, a garanzia dell’unità della nazione, quella del Capo dello Stato non avrebbe che da guadagnare con una selezione fra personalità dai curricula di valore in ogni tipo di attività.
Con il dilagare dell’anti-politica degli ultimi anni è invalsa, anche da parte delle stesse segreterie dei partiti, una preferenza per componenti dell’apparato tecnico-professionale da collocare nel governo o alla sua guida. Lo si è fatto anche per accreditare un’apertura alla cosiddetta società civile, ma non ha prodotto risultati particolarmente brillanti. A nostro avviso, ciò si spiega con la particolare natura dell’incarico governativo, che richiede a Palazzo Chigi non tanto dei professionisti esperti nelle loro materie, quanto persone dotate di vero senso politico.
Non a caso, infatti, quasi tutti i commentatori riconoscono che la differenza fondamentale fra il governo Draghi e le precedenti esperienze di governi, affidati pure a figure di professionisti non politici, consiste proprio nel valore pienamente politico dell’approccio dimostrato dall’attuale premier. E in effetti soltanto la politica, intesa come disposizione a coniugare l’analisi dei vari problemi alla loro possibile soluzione, permette di dar luogo a una governance che vada oltre la pura gestione e dia un indirizzo e una visione progettuale.
Per quanto riguarda, invece, la Presidenza della Repubblica occorre chiedersi se non sia giunto il momento di ribaltare l’impostazione che ha sinora prevalso e se non sia oggi opportuno provare a individuare candidati che non siano prodotti solo delle alchimie parlamentari e che abbiano trascorsi in altre situazioni professionali. Anziché rimestare nel gioco degli equilibri di schieramento alla ricerca del personaggio più conveniente al gioco medesimo, si potrebbe cominciare a disegnare i contorni dell’identikit di un candidato al Quirinale di natura completamente diversa. E per farlo bisognerebbe procedere a contrario, partendo dai bisogni che emergono oggi nella società italiana e provare a individuare l’uomo o la donna che meglio incarnerebbe un’azione capace di corrispondervi.
Da tempo l’Italia sopporta i guasti di un eccesso di retorica e di dissimulazioni, profuse a piene mani da media e informazione completamente aderenti alla post-ideologia del pensiero unico del globalismo digital-finanziario. “Paese senza verità”, come sosteneva Leonardo Sciascia, oggi l’Italia si dibatte in un groviglio di contraddizioni e di falsificazioni che appestano ogni forma di dibattito pubblico. Per questo motivo il primo impegno richiesto a chi dovrà rappresentarla ai vertici delle istituzioni dovrebbe essere proprio la capacità di parlar chiaro e di rifuggire dagli infingimenti, edulcorati da banalità del tutto incoerenti con la realtà che abbiamo di fronte.
Non sarebbe poi male se fosse anche dotato, sul piano caratteriale, del disincanto ironico che è sempre strumento essenziale per smontare ogni forma di fanatismo, con il quale purtroppo si è costretti a fare i conti permanentemente. Meglio ancora se avesse già dato prova – con scritti e comportamenti – di queste disposizioni e se non fosse nelle condizioni di essere debitore verso apparati e corporazioni. Un presidente orgoglioso e senza sudditanze reverenziali verso l’eurocrazia che ha affossato l’ideale europeo; un presidente che parli ai cittadini senza bofonchiare, nel quale riconoscere un riferimento e non un complice per le proprie manchevolezze.
Più che sugli scranni dell’attuale Parlamento, dove si aggira una classe politica troppo contaminata dalla promiscuità col sistema informativo a sua volta subalterno agli interessi di soggetti finanziari, sarà forse il caso di volgere lo sguardo altrove alla ricerca di qualcuno che abbia le qualità coincidenti con questo identikit. Il motto del Palazzo della Civiltà del Lavoro potrebbe ispirare, molto di più che non i grigi e un po’ squallidi cerchi di confraternite dei soliti morti di fama. Chi ha dato lustro al pensiero, con opinioni non conformi e operati dignitosi nel diritto come nell’economia o nella riflessione politico-sociale, ben meriterebbe di entrare in una rosa di candidati possibili.
(Foto da La Stampa)
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