Il prossimo 20 settembre siamo chiamati a votare – insieme con il rinnovo di alcuni Consigli Regionali – anche per il referendum sulla legge con la quale è stato approvato il taglio di oltre un terzo del numero dei parlamentari (i deputati da 630 a 400 e i senatori da 315 a 200), referendum previsto dall’art. 138 della costituzione, nel quadro delle disposizioni che regolano le revisioni della stessa, proprio perché si tratta di cambiare il documento che consacra il patto fra lo stato e il popolo, al quale appartiene la sovranità; questo referendum concerne quindi solo le leggi costituzionali e può essere proposto nel solo tempo intercorrente tra l|approvazione parlamentare, e prima dell’entrata in vigore. Il referendum abrogativo è invece diverso, perché riguarda non una legge costituzionale, ma le oggi ordinarie in genere (tranne quelle per le quali non è ammesso), leggi pienamente vigenti e normalmente applicate.
Chi quindi non è persuaso che la riduzione dei nostri rappresentanti sia una misura utile voterà “NO”.
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La prima considerazione che si ritiene di particolare importanza è che il nostro paese sta oggi attraversando un momento politico particolarmente delicato, anche se le forze politiche e la stessa informazione non sembra abbiano avvertito i rischi della presente situazione.
Dopo un trentennio - che si può considerare iniziato con Manipulite – trenta anni nel corso dei quali i partiti e i movimenti che lo avevano animato sono quasi tutte scomparsi - le elezioni del 2018 hanno registrato il successo di due forze politiche nuove, in un certo senso una con caratteri di destra e l’altra di sinistra, le quali hanno subito tentato l’esperienza del governo comune, peraltro entrata rapidamente in crisi.
E abbiamo avuto subito dopo un governo, il cosiddetto Conte due, sostenuto dal Partito Democratico e dal Movimento 5 Stelle, nel quadro di un accordo nel quale il taglio dei parlamentari figurava inquadrato (si faceva presumere), in una serie di riforme atte ad affrontare la complessa situazione che esso determina.
Le cose sono comunque andate in modo diverso, e il Movinento 5 Stelle ha mandato avanti la legge che oggi siamo chiamati a confermare, o meglio a non confermare, mentre non esiste alcune certezza sulle altre innovazioni atte a evitare i gravi inconvenienti del taglio dei parlamentari, soprattutto il fatto che alcune zone del paese resterebbero senza rappresentanza, come si è detto, con grave incostituzionalità.
Sulla destra esiste una tendenza a un riposizionamento complessivo per dar luogo a una possibile convergenza in sede elettorale, contro la quale urta comunque il sovranismo della Lega di Salvini, che resta nel profondo antieuropeista, nel momento in cui da Bruxelles dovrebbero arrivare trecento miliardi di euro (primavera 2021?) che potrebbero rendere possibile riassestare la nostra economia che da venti anni stenta a crescere.
Quanto alla sinistra non ci resta che dover confermare quanto ormai da mezzo secolo veniamo ripetendo, che necessariamente un paese, che ha compiuto una complessa rivoluzione industriale, tanto da non poter essere classificato come agricolo, ha bisogno di una sinistra aperta, di un partito strutturato in modo da saper recepire la domanda che sale dal basso, anche sotto il profilo territoriale.
Un partito strutturato in cellule o sezioni come una sorta di uffici locali che eseguono una linea politica stabilita al centro, da luogo a processi di verticizzazione, dai quali derivano i fenomeni delle correnti sensibilizzate sulla conquista dei luoghi del potere, sterilizzando la crescita politica del paese, che oggi non manca e si manifesta nel gran numero di associazioni locali, che si presentano anche alle elezioni, ma ovviamente senza esiti.
Un vero partito della sinistra deve invece essere lo strumento capace di portare nei massimi livelli istituzionali quanto nel paese fermenta e la presenza territoriale deve essere un riferimento politico con quanto di nuovo e di politicamente interessante avviene nei grandi come nei piccoli centri, non il veicolo di piccoli a grandi interessi corporativi.
Ed appare di tutta evidenza allora come il taglio dei parlamentari sia una innovazione che, specialmente in un tempo politico come quello attuale, sia tenacemente da scongiurare, in quanto aumenta il potere dei vertici, sulla scia di un populismo moralistico e giustizialista.
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