Domenica prossima siamo chiamati alle urne (oltre che per il rinnovo di alcuni Consigli regionali) per il referendum (art. 138 della costituzione) sulla legge del taglio dei parlamentari, di recente approvata dal Parlamento. Argomento già ripetutamente trattato su questa Agenzia a sostegno del “NO”. Esistono comunque anche ulteriori considerazioni oltre a quelle già svolte e che meritano di essere attentamente valutate.
Il problema che si intende qui evidenziare è legato all’ormai famoso “Recovery Fund”, il piano di circa 700 miliardi di euro varato dall’Europa per sostenere i paesi dell’Unione nello sforzo per la ripresa dell’economia di nuovo colpita da una grave crisi, quando non si era ancora decisamente superata quella del 2008; all’Italia è stata proposta la quota più alta del piano: 209 miliardi di euro, divisi tra prestiti e trasferimenti a fondo perduto, i quali ultimi fanno carico al bilancio europeo, cioè nella sostanza a tutti i paesi dell’Unione. Ed è stato un grande passo avanti per l’Unione Europea, nella quale i paesi ironicamente chiamati “frugali” si erano sempre rifiutati di pagare per i debiti di quelli soprannominati “spendaccioni”…
Come mai questo è potuto succedere? Un miracolo? C’è quasi da pensarlo.
Certo sullo sfondo c’è il fatto che tutti i paesi dell’Unione Europea sono interessati a una stabile sistemazione delle economie e delle finanze dell’area dell’euro, ma in prima battuta il problema era quello del vedere “chi paga” e l’Italia era da molto tempo sotto tiro perché non aveva mai attuato le riforme che l´Europa chiedeva (nel nostro stesso interesse, come spesso abbiamo sottolineato). E allora? La conclusione non poteva essere che quella che c’è stata: prima le riforme e poi i soldi…
È infatti dai primi anni ottanta del secolo scorso che nel nostro paese si discute di riforme della Costituzione – dai tempi della “Commissione Bozzi”… - fino a quattro anni fa, quando non passò la riforma che prevedeva l’abolizione del Senato e la creazione di una nuova “Camera delle Regioni”. Ed era una riforma già più articolata di un mero taglio dei parlamentari, ma vinse il “No” perché non adeguatamente preparata.
Il problema è quello del cattivo funzionamento del Parlamento, di una legislazione fatta di “leggine” e non di leggi vere, di una spesa pubblica “assistenzialistica”, come si suol dire, di spese “a pioggia”, il tutto senza alcuna attenzione per il caos normativo che si è creato e che è momento centrale tra le cause delle disfunzioni dell’Amministrazione e dei ritardi nella giustizia. Il problema è quello che la “fiducia al Governo” non può essere confinata al momento di un voto, perché ne è presupposto un attento e continuativo esame dell’operato del governo, che comporta una mole enorme di lavoro preliminare sulla legittimità e sul merito dei provvedimenti.
Per la legittimità esiste la Corte dei conti, che registra quasi tutti i decreti delle Amministrazioni e che ogni anno riferisce direttamente al Parlamento; per il merito non esiste nemmeno qualcosa di analogo. E oggi parlare di scelte di merito significa conoscere, comprendere e valutare l’operato di uno stato le cui funzioni investono tutta l’economia, oltre ai compiti tradizionali.
Ritenere che problemi di questa natura possano essere affrontati con un taglio dei parlamentari può anche far sorridere, ma sarebbe una partenza assolutamente sbagliata e pericolosa, perché rappresentazione superficiale di un problema sul quale è innanzi tutto indispensabile un ampio dibattito nazionale, che ne affronti tutti gli aspetti.
Il “NO” è invece il segno di una protesta nei confronti di una politica come quella attuale, vera continuazione con il passato, assente sui problemi di fondo, rimasti irrisolti.
(vignetta di Stefano Rolli, vignettista del Secolo XIX)
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