A proposito della conclusione della vertenza con la società Atlantia, della famiglia Benetton, azionista principe di Autostrade per l’Italia (Aspi), il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha dichiarato: “È successo qualcosa di assolutamente inedito nella storia politica italiana . È stata scritta una pagina inedita della nostra storia. L’interesse pubblico ha avuto il sopravvento rispetto a un grumo ben consolidato di interessi privati . Ha vinto lo Stato. Hanno vinto i cittadini”.
Non sappiamo quale lotteria abbiano vinto i cittadini, con questo accordo. A parte l’enfasi retorica alla quale Conte ci ha ormai abituati, con le ridondanze e le ripetizioni tipiche dei pedanti descritti magistralmente da Giordano Bruno, quello che è successo non è affatto inedito. Al contrario, ripete un percorso ben collaudato nel rapporto tra amministrazione statale e privati, contraddistinto dal motto “privatizzare i profitti e socializzare le perdite”.
Se riandiamo al 14 agosto di due anni fa, quando tutta la vicenda è iniziata con i 43 morti provocati dal crollo del ponte Morandi, i termini del problema possono così definirsi. Il ponte non è crollato perché colpito improvvisamente da un meteorite, ma a causa della mancata manutenzione che spettava al suo gestore e cioè appunto Atlantia.
Sul piano del diritto civile la responsabilità è chiara: se un ponte è mal progettato, o ha una cattiva manutenzione, o addirittura è pericolante, il gestore ha il compito di chiudere l’accesso, di ripararlo o di abbatterlo. Nessuna di queste cose è stata fatta. Quanto al “controllore” del gestore, il Ministero di infrastrutture e trasporti, ha anch’esso la sua responsabilità e – dal punto di vista politico – va ripartita fra quanti hanno governato nel corso di questi anni.
Dopo la tragedia, invece, tutto è stato “buttato in caciara” mescolando responsabilità civile e penale, confondendo le acque con polemiche ad arte, al solo scopo di pervenire alla soluzione che è stata varata oggi.
Soluzione che era l’esito al quale si mirava sin dall’inizio, con il preciso intendimento di evitare l’emersione delle responsabilità come pure la giusta attribuzione delle sanzioni economiche. È stato tutto un succedersi di dichiarazioni roboanti, si è scomodata l’etica, si è imbastito uno scontro politico e giudiziario, ci si è travestiti da giustizieri e si sono usati i morti di Genova, per raggiungere lo scopo prefissato: salvare il business e il patrimonio degli azionisti di Atlantia, fra i quali – ricordiamolo – ci sono la tedesca Allianz e la cinese Belt and Road Initiative.
A questi azionisti, infatti, dopo la cessione della maggioranza allo Stato rimane un 37%, di cui l’11% continuerà ad essere direttamente nella disponibilità della famiglia Benetton, che potrà farlo fruttare quando la nuova società sarà collocata in Borsa e, contemporaneamente, riduce il suo stato debitorio in Aspi da 5 a 3 miliardi. Quello che viene presentato sui media come un esproprio è, dunque, quanto mai vantaggioso e, per riprendere l’espressione di Alessandro Di Battista, tante altre società forse gradirebbero “prendersi questi schiaffi”.
Nessun colpevole e nessun risarcimento, a parte qualche eventuale capro espiatorio del processo penale che si concluderà fra qualche lustro. In cambio Atlantia, svincolandosi dalla maggioranza su Autostrade, si sottrae anche dai contenziosi giudiziari, mentre l’aumento di capitale necessario se lo assume lo Stato attraverso la Cassa Depositi e Prestiti.
Per non parlare delle speculazioni finanziarie intervenute nell’ultima fase della trattativa, con improvvisi crolli azionari e successivi rialzi, avvenuti all’indomani dell’intervista di Conte al «Fatto» dove ancora ipotizzava la revoca, che hanno consentito altrettanti improvvisi (e provvidenziali) incassi ad accorti operatori in Borsa.
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