Da un recente sondaggio dell’Ipsos, solo il 28% degli elettori è a conoscenza che a settembre si terrà il referendum costituzionale relativo alla riduzione del numero dei parlamentari. Il dato conferma, se ce ne fosse bisogno, quanto l’informazione giornalistica abbia fatto di tutto per tenere all’oscuro i cittadini: operazione che certifica il suo ruolo manipolatorio della libera dialettica democratica e la rende la principale alleata del processo restaurativo in atto.
D’altronde, della restaurazione la legge che porta da 945 a 600 i rappresentanti dei cittadini è essa stessa un passaggio fondamentale. Il provvedimento è figlio della lunga transizione iniziata dopo il 1992, quando ha trionfato l’anti-politica e le circostanze hanno portato il ceto politico ad attorcigliarsi attorno alle leggi elettorali per risolvere una crisi che era ben più profonda e investiva in pieno le istituzioni.
L’anomalia del nostro sistema consiste nel fatto che, a differenza delle altre nazioni europee, l’Italia ha adottato un sistema istituzionale ibrido, non optando né per il premierato – sul modello tedesco o britannico – né per la repubblica presidenziale alla francese.
Problemi che il dibattito pubblico di una democrazia informata dovrebbe affrontare, favorendo il libero confronto ma che invece sono compressi e conculcati dal sistema dei media, sempre più asservito ai desiderata dei suoi finanziatori, espressione di poteri oligarchici e incontrollati che hanno tutto l’interesse a limitare la partecipazione democratica.
Purtroppo, è in queste drammatiche condizioni che ci si avvia alla al nostro quarto referendum costituzionale: il primo del 2001 (con una percentuale di partecipanti inferiore al 35%) confermò la deleteria riforma dell’Ulivo sul Titolo V che minò gli equilibri fra Stato e Regioni; gli altri due – del 2006 e del 2013 – respinsero invece le riforme varate dal centro-destra e dal governo dell’allora segretario del PD, Matteo Renzi.
Gli elettori saranno chiamati così ad esprimersi sul cambiamento introdotto dalla legge approvata il 12 ottobre 2019, con la quale si modificano soltanto gli articoli 56 e 57 della Costituzione, in modo del tutto scoordinato dal contesto normativo che riguarda la rappresentanza elettorale. La modifica, infatti, trascura di intervenire sui reali nodi problematici del nostro ordinamento costituzionale: il grado di rappresentatività e la capacità di governo delle istituzioni.
In modo assolutamente deformante e demagogico, si va al voto referendario sull’onda della campagna contro i privilegi della “casta” e del taglio alle spese, derivante dalla diminuzione dei componenti di Camera e Senato. Ma se dovessimo basarci solo su questo criterio, allora anche 600 rappresentanti possono risultare troppi, specie poi se il Parlamento viene sempre più svuotato dalle sue funzioni e se sui suoi seggi siedono persone prive della capacità di trovare soluzioni davvero praticabili ai tanti problemi che viviamo.
In verità, così facendo non si fa altro che condizionare il dibattito nella direzione voluta da politicanti che non hanno alcuna intenzione di migliorare il rapporto tra cittadini e politica, così da rivitalizzare una democrazia sempre più asfittica proprio perché soffocata dalle derive giustizialiste e poujadiste di un ribellismo sapientemente coltivato dalle oligarchie dominanti.
Perché quel rapporto rifiorisca e diventi linfa per una partecipazione responsabile e consapevole, occorre intervenire piuttosto sulle annose questioni del finanziamento dell’attività politica e della regolamentazione delle lobbies nel processo di formazione delle leggi.
Avere meno parlamentari che lavorino comunque sotto il condizionamento incontrollato delle pressioni corporative, oppure si adoperino soltanto per mantenere i propri apparati necessari alla raccolta del consenso, non invertirà affatto il processo di declino che sta vivendo la nostra Repubblica. Votare NO al referendum sulla riduzione di deputati e senatori rappresenta, perciò, il modo per smascherare un depistaggio e smontare i meccanismi della restaurazione in atto.
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