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18/11/24 ore

Accorpare elezioni regionali e referendum riduzione parlamentari: una ferita grave alla democrazia


  • Luigi O. Rintallo

Il Senato con il voto di venerdì, ripetuto dopo che la vice-presidente Paola Taverna (5Stelle) il giorno prima aveva proclamato il risultato in mancanza del numero legale, ha alla fine approvato il decreto con il quale si accorpano le elezioni amministrative e il referendum costituzionale sulla riduzione dei parlamentari.

 

La decisione è di una gravità eccezionale, in quanto pone una insormontabile ipoteca a una campagna referendaria che sviluppi un confronto alla pari e di merito sulle modifiche introdotte dalla legge emanata il 12 ottobre 2019.

 

È la prima volta che referendum ed elezioni si terranno nella stessa giornata, con i cittadini che si vedranno consegnati nelle regioni chiamate al voto tanto la scheda per la scelta del presidente della regione, quanto quella del referendum costituzionale.

 

Poiché il taglio dei parlamentari non è stato approvato dai due terzi delle assemblee, ai votanti è data la possibilità di esprimersi per respingere o confermare il cambiamento della Costituzione. In questo referendum non è previsto il quorum e, pertanto, ciascun elettore ha un potere molto più grande che nei referendum abrogativi, che possono fallire se vota meno del 50%.

 

Con l’accorpamento alle votazioni di rinnovo di alcuni consigli regionali, di fatto questo potere subisce un drastico ridimensionamento e si modifica il carattere stesso attribuito dai costituzionalisti a questa consultazione referendaria. 

 

Va inoltre osservato che la scelta di celebrare referendum e voto regionale in una stessa data soddisfa gli interessi particolari del Movimento 5 Stelle, che spera in questo modo di raccogliere consensi utilizzando il traino della riduzione dei parlamentari, ripetendo nelle settimane di campagna elettorale la sua tirata demagogica e populista all’insegna dell’anti-politica.

 

Si creano in questo modo le condizioni per falsare ulteriormente un dibattito che già parte viziato dalla deformazione informativa, di fatto concentrata nell’operazione di non spiegare nulla e di spingere i cittadini nel gorgo risucchiante dell’occultamento dei termini della questione.

 

La modifica degli articoli 56 e 57 della Costituzione non è che una tappa di un percorso volto a sfibrare il tessuto della rappresentanza democratica e a rendere superflua la politica. Quanto avvenuto in questi mesi, durante l’emergenza causata dal virus cinese, ha fatto ben comprendere quali siano i rischi potenziali per la sopravvivenza stessa della democrazia in Italia.

 

L’umiliazione (e, per certi versi, l’auto-umiliazione) che il Parlamento ha vissuto in queste settimane ha estrinsecato le tentazioni a debordare verso soluzioni estranee a una compiuta dialettica democratica, sino all’ultima farsa degli Stati generali con cui il governo ha preteso di prescindere dal confronto parlamentare.

 

Che su tutto questo si impedisca di aprire un grande e libero dibattito, riducendo l’occasione del referendum a una incombenza amministrativa da sbrigare frettolosamente e di mala voglia, dà solo l’estremo segnale del degrado cui è pervenuta una classe politica asservita a interessi corporativi e di parte.

 

Denunciare la ferita inflitta da questa scelta dovrebbe essere un imperativo per chi è posto a garante della Repubblica.

 

 


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