“Liberalismo sì, liberalismo no”, cioè il faccia a faccia tra Bernard Henri Lévy e Alexander Dugin (anche se Bernard sia proprio liberale si dubita…) è partito come un dibattito su “La montagna incantata”, cioè sul famoso “duello” tra Settembrini, il pensatore illuminista e razionalista, e Naphta il gesuita, che avviene in un sanatorio a Davos, nelle Alpi Svizzere, ed è nella sostanza una riflessione sulla decadenza della borghesia, non a caso impersonata da un giovane affetto da tbc…. E quando Thomas Mann scrisse questo capolavoro gli antibiotici non erano ancora stati scoperti…
Il faccia a faccia si è svolto presso l’Istituto Nexos a Breda in Olanda ed è stato fondato nel 1994 e muove da una finalità di riscoperta dei valori dell’umanesimo europeo di fronte alla cultura attuale scientifico/commerciale, muovendo non dalla teologia ma dalla realtà pratica. Soprattutto svolge un’opera contro la schiavitù del nostro tempo, o meglio la schiavizzazione. Faccia a faccia di successo si, ma sul piano culturale.…
Il dibattito tra Lévy e Dugin ha smascherato i punti deboli di Dugin, ma lascia la porta aperta ad approfondimenti non trascurabili. Per esempio Dugin parla a un certo punto dell’ideologia liberale, e a questo Lévy non replica, mentre in un dibattito culturale è indispensabile sottolineare prima di tutto che il liberalismo non è ideologia.
Lévy è un personaggio che è passato da posizioni di destra avanzata a sostenitore del Parti Socialiste, e critiche del capitalismo e del nazionalismo, ha difeso i diritti umani, ha criticato gli autoritarismi (in particolare Putin per la guerra in Crimea), apprezza Renzi, non ama l’islamismo e a suo tempo difese Charlie Hebdo, è contro l’antisemitismo, si dichiara israelita, ma moderato e agnostico. Ha sentito influssi diversi, da Foucault ad Heidegger, Nietzsche, Camus… nouvel philosophe di area sartriana, ma critico del totalitarismo… non certo tutto insieme, ma via via nel tempo e alla fine trova anche ispirazioni liberali in Tocqueville e Popper… in sostanza al liberalismo ci arriva a fatica…
Mentre l’anti-liberalismo di Dugin, è pieno e meglio si dovrebbe definire l’a-liberalismo, perché nel mondo delle idee liberali non entra con una posizione critica, ma ne resta proprio fuori, da buon tradizionalista russo, non schivo da tendenze persino astrologiche. Dugin non conosce l’individuo, ma solo la collettività, che è perciò anche il soggetto dei diritti e quindi non ha senso interpretare e criticare muovendo da posizioni di cultura liberali.
È una personalità dai tratti multilaterali, studioso, filosofo, ma insieme impegnato in politica. Nel periodo convulso seguito alla caduta del comunismo fu molto attivo su posizioni nazional-bolsceviche, e poi ben inserito nelle dinamiche di Putin per il quale, indirettamente, finisce per operare in giro per l’Europa.
Il liberalismo è prima di tutto un confronto, è un “metodo” per una politica che si strutturi in istituzioni che legittimino e sorreggano la libertà e le libertà, che diano spazio a tutte le idee, mentre l’ideologia è sempre l’offerta di un’idea, di un programma, di una teoria che offre una soluzione bell’e fatta (o lo pretende), il liberale problematizza, apre a una discussione.
Il liberalismo si occupa meno della risposta che del modo come ci si arriva: lasciando spazio effettivo a tutte le idee e al dibattito… e, non a caso sul piano economico al massimo pluralismo operativo e alla concorrenza.
E venendo a noi occorre sottolineare il fatto che nel nostro impegno ha una parte di rilievo proprio la discussione sul liberalismo, cioè sul fatto che lo stato creato dal Risorgimento è certo “liberale”, ma liberal-nazionale – come del resto anche gli altri stati liberali europei del tempo - e che il fondamentale riferimento nazionale inizialmente è stato strumento di libertà, ma poi non lo è stato più e che la borghesia che lo ha sostenuto (ed era numericamente solo una piccola parte della popolazione italiana) ha avuto analogo percorso.
E il liberalismo, per esser “nazionale”, si è trovato a privilegiare lo stato, che aveva assorbito la nazione e così da cultura rivoluzionaria è diventata cultura ritenuta di destra. Il senso profondo dell’opera di Pannella è stato l’aver riscoperto la natura rivoluzionaria del liberalismo e in questo sta la natura rivoluzionaria del suo (nostro) individualismo, perché si vuol mettere al centro della lotta politica l’individuo, mostrando quali sono i suoi strumenti di lotta, la sua forza per vincere.
Ecco la lotta politica che mette al centro i diritti civili, di cui sono soggetti gli individui, e la nonviolenza, la disobbedienza civile, i sit-in, i digiuni… e a Dugin che dice che i diritti non vanno riconosciuti agli individui, ma alla collettività, va detto che ogni collettivo è fatto di individui e opera attraverso gli individui responsabili e che i diritti che la cultura liberale ha raggiunto riguardano certo la collettività, come il diritto di voto, che oggi è riconosciuto a tutti i cittadini.
Questo però non significa che il diritto spetti alla collettività come tale, significa solo che tutti i singoli cittadini hanno il diritto di andare a votare.
La costituzione italiana afferma che quello del voto è un dovere civico.
Il cittadino cui è riconosciuto il diritto di voto deve esser reso consapevole del ruolo che deve gestire e la democrazia si regge sulla coscienza dei cittadini. E i limiti nascono da esigenze pratiche, non da pregiudiziali ideologiche.
(disegno di Alamy)
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