Il 21 settembre 2019, l’Istituto Nexus – uno degli istituti intellettuali più prestigiosi che mantengono vivo lo spirito dell’umanesimo europeo – ha celebrato il suo 25° anniversario con un simposio pubblico dal titolo «The Magic Mountain Revisited: Cultivating the Human Spirit in Dispirited Times» (La montagna incantata rivisitata: coltivare lo spirito umano in tempi di scoramento), sulla scia del romanzo fondativo dell’Istituto Nexus, La montagna incantatadi Thomas Mann. Il Simposio Nexus si è aperto con un duello intellettuale tra i due filosofi Bernard-Henri Lévy e Aleksandr Dugin, presentato come la rivisitazione del XXI secolo dei famosi dibattiti tra Settembrini e Naphta nel romanzo di Mann. Di seguito è riportata la trascrizione di questo duello (*da geopolitica.ru).
Rob Riemen (filosofo e scrittore olandese): La montagna incantata è incentrato su un duello tra due visioni del mondo contrastanti che lottano per l’anima dell’Europa. Con questo stesso duello, inizieremo oggi il Simposio Nexus. Sono lieto che due coraggiosi filosofi abbiano accettato il nostro invito a discutere le premesse e le conseguenze delle reciproche visioni del mondo, completamente opposte e in competizione tra loro. Li chiamo coraggiosi, perché è diventato estremamente raro che due avversari filosofici si confrontino davvero faccia a faccia. Coloro che hanno letto il romanzo di Thomas Mann sanno che alla fine c’è, infatti, un duello fisico. Naphta sfida Settembrini, Settembrini si rifiuta di sparare, quindi Naphta si uccide. Questo, fortunatamente, non accadrà oggi. Diamo un caloroso benvenuto a Leo Naphta, noto anche come Aleksandr Dugin, e Lodovico Settembrini, detto anche Bernard-Henri Lévy.
Dugin: Anzitutto, prediligo sempre la battaglia delle idee rispetto al conflitto fisico. E sono molto felice di poter avere questo confronto con Bernard-Henri Lévy, noto a livello mondiale, non in un duello fisico, visto che a volte siamo in prima linea, e normalmente su fronti diversi; per cui preferisco scambiare delle idee qui, piuttosto che combattere fisicamente. Forse è l’unico modo per evitarlo, o almeno per provarci.
In primo luogo, desidero rammentare che il Presidente Macron ha recentemente affermato che l’egemonia dell’Occidente è finita. Il nostro Presidente Putin ha detto la stessa cosa del liberalismo o globalismo. Di recente è stato pubblicato su Foreign Affairs un articolo di Fareed Zakaria dedicato al declino del potere occidentale. E penso che sia ovvio che ci sia un tale declino. Nel suo libro, L’Impero e i cinque re, lei, signor Lévy, ha notato una cosa molto interessante: il dissolversi della presenza americana in Medio Oriente, nel caso dei curdi. Penso che ci stiamo avvicinando alla fine, non alla fine della storia come ha detto Fukuyama, ma alla fine della modernità politica. E questa rappresenta qualcosa di molto, molto importante su cui dovremmo riflettere: la fine dell’egemonia occidentale, del dominio americano o del liberalismo globale. Non è qualcosa di tecnico ma di storico.
Lo interpreto – ad esempio, nelle parole di Nietzsche – nel senso che all’inizio della modernità, gli uomini hanno ucciso Dio, per emanciparsi. Ma questo è stato un suicidio. Uccidendo Dio, abbiamo ucciso noi stessi. E ora, eccoci all’ultima fase del nichilismo.
E, curiosamente, nel suo libro, lei definisce l’impero americano o il sistema liberale globale come il sistema del nichilismo, basato sul nulla. È un’idea molto interessante, e vorrei chiederle perché lei continua a difendere questo sistema sempre più apertamente nichilista, perché combatte per questa modernità decadente, in declino, e perché investe tutto il suo potenziale intellettuale per difenderla.
Lévy: Naturalmente, non sto certo lottando per il nichilismo. Sto lottando, al contrario, per combattere il nichilismo. Combatto per la modernità politica, perché significa democrazia, libertà, uguaglianza tra donne e uomini, laicità e così via. Sebbene la modernità politica sia probabilmente in crisi, respingo l’idea di un suo declino irreversibile o, peggio ancora, della sua scomparsa. E la respingo perché credo fermamente che la sopravvivenza della democrazia liberale sia un vantaggio per il mondo intero. Ora, parliamo di nichilismo: ho letto i suoi lavori. Lei è mio avversario. Sulla maggior parte degli argomenti la pensiamo in modo opposto.
Ma riconosco la sua importanza, almeno sulla scena russa. Per questo la leggo attentamente.E per me, l’incarnazione del nichilismo oggi è lei. E i suoi amici. E la corrente eurasista. E il clima malsano che si respira nei suoi libri. E il modo in cui lei dissolvete l’idea stessa dei diritti umani, delle libertà personali, delle singolarità, in alcuni grossi blocchi di comunità, grandi fedi, origini sacre e così via. Potrebbe esserci una crisi della democrazia. Ma c’è, di sicuro, un profumo di nichilismo che mi imbarazza davvero quando leggo la sua Rivoluzione conservatrice, e tutte le sue opere sull’Eurasia dall’inizio degli anni Novanta.
Dugin: Interessante. Se lei propone una sorta di identità tra nichilismo e rifiuto dell’interpretazione occidentale dei diritti umani, della libertà e della democrazia liberale, in questo senso sono d’accordo. Io mi oppongo a tutto ciò, perché per me questi non sono valori universali. Penso che la democrazia, il contenuto della democrazia, stia cambiando. Ho dialogato una volta con Fukuyama, e Fukuyama ha definito la moderna concezione della democrazia liberale come il dominio delle minoranze contro la maggioranza, perché la maggioranza può sempre trasformarsi in populismo, fascismo e comunismo. Si tratta di un’idea completamente nuova, credo. E non condivido questa nuova concezione della democrazia liberale, contesto che il soggetto della libertà debba essere l’individuo – e questa è l’essenza, l’asse dell’ideologia dei diritti umani. Considero l’identità dell’uomo, della cultura umana, della società, non riducibile all’individualità. Ad esempio, nella nostra tradizione russa, il soggetto della libertà o il soggetto umano non è individuale, è collettivo.
Così era al tempo degli zar, così era stato definito dalla Chiesa, poi dal comunismo. Ma l’identità collettiva è sempre stata dominante nella nostra cultura, così come nella cultura cinese, nella cultura indiana, fino a un certo punto della cultura islamica. Credo di essere un nichilista nel senso che rifiuto l’universalità dei valori occidentali moderni. Non credo che siano universali. Ritengo che siano occidentali, moderni. Penso che l’Occidente sia ancora molto potente, e li difenda con forza. Ma non posso che obiettare al fatto che l’unico modo di interpretare la democrazia sia di considerarla come il dominio delle minoranze contro la maggioranza, che l’unico modo di interpretare la libertà sia rappresentato dalla libertà individuale, e che l’unico modo di interpretare i diritti umani sia quello di proiettare una versione moderna, occidentale e individualistica di ciò che significa essere umani sulle altre culture.
Lévy: Lei conosce la sua tradizione, la tradizione russa, meglio di me. Ma io sono abbastanza amico della Russia da sapere che quello che lei ha appena detto a proposito della collocazione della soggettività nella tradizione russa non è vero. Lei può contare anche sulla tradizione di Gercen, di Puškin, di Turgenev, di una parte di Sacharov, su tutta la gloriosa tradizione dei dissidenti che hanno combattuto il totalitarismo dell’Unione Sovietica e che hanno condotto questa lotta in nome dell’individualità, dei diritti del soggetto e dei diritti umani.E non si può dire che questo elemento non faccia parte della tradizione russa. E anche in questo caso, ho dedicato una parte importante della mia vita a difendere la Russia dalla schiavitù, dal totalitarismo e così via, per poterlo affermare. Ora, che cos’è la democrazia? Non ero presente durante il suo dibattito con Fukuyama.
Ma quello che io stesso direi è che la democrazia è un concetto complesso e un processo complesso. È il governo della maggioranza e il governo della minoranza. È il governo del popolo, e anche del parlamento. È un’architettura molto complessa, che si evolve nel tempo, arricchendosi; la differenza tra la democrazia e ogni sorta di autoritarismo, compreso quello di Putin oggi in Russia, è che la democrazia è sempre aperta al cambiamento, al progresso, è sempre aperta ad arricchimenti, ritrattazioni, a tutto questo.
In merito al nichilismo. Lei parla di Nietzsche, ma la migliore definizione di nichilismo – siamo seri! – è parte della nostra memoria. È la Russia, con i suoi ventiquattro milioni di morti durante la Grande Guerra Patriottica. È l’Europa, occupata dal nazismo. E sono gli ebrei, il mio popolo, quasi sterminato, ridotto al nulla dai peggiori nichilisti di tutti i tempi. Sì, c’è una chiara definizione di nichilismo, e cioè: coloro che hanno commesso questi crimini. E queste persone, questi nazisti non sono venuti dal cielo. Scaturivano da ideologi. Da Carl Schmitt. Da Spengler. Da Steward Chamberlain. Da Karl Haushofer.
Tutte persone che, mi spiace doverlo notare, a lei piacciono, che lei cita, e dalle cui parole trae ispirazione. Pertanto, quando dico che lei è un nichilista, quando dico che Putin è un nichilista, quando dico che a Mosca c’è un clima malsano di nichilismo, che provoca, tra l’altro, delle vere morti – Anna Politkovskaya, Boris Nemtsov, e tanti altri, uccisi a Mosca o a Londra – lo dico sul serio. Intendo dire che, ahimè, su questa grande civiltà russa di oggi, nella grande Russia, sta soffiando un cupo, oscuro vento di nichilismo nel vero senso del termine, che è un senso nazista e fascista.
Dugin: Sono d’accordo sul fatto che il fenomeno del fascismo o nazionalsocialismo sia una forma di nichilismo, e non lo difendo, perché è un fenomeno moderno. Ai miei occhi, tutta la modernità è meramente nichilista. Il liberalismo è nichilismo, il comunismo è nichilismo, e il fascismo anche. E penso di essere d’accordo con lei sui crimini commessi da Hitler, perché anche il mio popolo ha sofferto molto. Abbiamo perso milioni e milioni di uomini, uccisi perché erano slavi, nella stessa misura degli ebrei. Il nostro popolo, il popolo sovietico, il popolo russo, ha combattuto questa guerra patriottica per fermare il fascismo in Europa, in Russia, e per salvare tutte le persone che soffrivano in quella situazione. E biasimo fortemente ogni tipo di razzismo.
Quindi, se trovo qualcosa di interessante in Heidegger e Schmitt, nella rivoluzione conservatrice in Germania, si tratta di alcuni aspetti del realismo politico o del pensiero geopolitico o del tradizionalismo, e della critica della modernità che era propria a questo movimento conservatore, ma non del razzismo. Sono abbastanza temerario da ammetterlo se volessi diffondere il fascismo o il razzismo; faccio molte affermazioni coraggiose, per le quali vengo accusato – sono contro il liberalismo, contro l’individualismo, contro i diritti umani come ideologia – ma mi oppongo altresì al razzismo. E questo risulta abbastanza chiaro. Non lo difendo.
Il razzismo è una costruzione liberale anglosassone basata su una gerarchia tra i popoli. Credo che questo sia criminale. E penso che oggi il globalismo ripeta lo stesso crimine, perché quelli che i globalisti, i liberali, come lei e le persone che sostengono le sue idee, cercano oggi di affermare come valori universali, sono in realtà semplicemente valori moderni, occidentali, liberali. E questo è un nuovo tipo di razzismo; razzismo culturale, razzismo civilizzazionale. Lei dice: tutti coloro che accettano la società aperta, sono i buoni. Tutti coloro che sfidano la società aperta, sono – come dice Popper nel sottotitolo del suo libro – i nemici della società aperta. Quindi c’è una nuova divisione manichea, un nuovo razzismo. Coloro che sono a favore dei valori occidentali, sono buoni. Tutti coloro che li contestano, nella tradizione islamica, nella tradizione russa, nella tradizione cinese, nella tradizione indiana, ovunque, sono populisti, e sono classificati come fascisti. Penso che questo sia un nuovo tipo di razzismo.
Lévy: Ci sono in realtà, tra noi, tre grandi punti di disaccordo. Innanzitutto, quando lei parla di globalizzazione, ne ha un’idea limitata. C’è una cattiva globalizzazione, naturalmente, che significa uniformazione del mondo. Ma la globalizzazione, come molti pensatori occidentali la concepiscono e, almeno, come io stesso la concepisco, non significa uniformità, ma apertura all’altro, ponti tra civiltà, un nesso tra culture, l’importazione ed esportazione di parole, teoremi, e così via. Anche questo può voler dire globalizzazione. E mi creda, coloro che in Occidente si battono per questo sono molto numerosi.
Secondo punto. Quando lei afferma che credere in valori universali è una nuova forma di totalitarismo e così via – mi dispiace, ma è una visione piuttosto miope. Il punto vero è che ogni civiltà ha generato grandi cose. La vostra civiltà, quella russa, che io venero e rispetto, ha inventato per esempio, attraverso Aleksandr Solženicyn, l’idea stessa della lotta contro il totalitarismo.È enorme, quello che Solženicyn ha fatto, e nessuno priverà la cultura russa di questa grandiosità. Tanti pensatori occidentali hanno cercato di pensare la libertà contro il totalitarismo, cos’è, contro cosa deve combattere, cosa rappresenta un campo di concentramento, e così via.
Ma è stato un uomo russo ad aver prodotto quel capolavoro che è Arcipelago Gulag. E niente e nessuno lo strapperà dalla civiltà russa. Allo stesso modo, anche l’Europa ha partorito alcune cose, che generano benefici per l’intera umanità. Ad esempio, la parità di diritti tra donne e uomini. Ad esempio, il diritto di un uomo a non essere torturato, a non essere incatenato o schiavizzato. Questo diritto è universale. È un progresso, un miglioramento, se applicato correttamente, per l’intero universo. Ma il fatto è che è stato inventato, prodotto, da una filosofia che va sotto il nome di filosofia dell’Illuminismo e il cui luogo di nascita è l’Europa. Quindi l’idea non è quella di imporre un modello agli altri. È di prendere da ogni civiltà il bene per il resto dell’umanità che ha inventato. E uno di questi beni, in Europa, è la civiltà dei diritti umani, della libertà, della dignità individuale e così via. Questo merita di essere universalizzato. Ciò dovrebbe essere concepito, a meno che non si è razzisti, come proficuo per l’intera umanità.
Ora, lei, signor Dugin, è razzista? Sono felice di sentire che lei sostenga di non amare il razzismo. Ma non sono così sicuro che lei sia sincero. Ho letto, qualche giorno fa, un suo libro intitolato La rivoluzione conservatrice. A pagina 256. Dove parla degli ebrei. Non mi occupo solo degli ebrei, mi importa di tutti, ma in questo caso si tratta di ebrei. E lei parla, in questa pagina, della rivalità e del conflitto metafisico tra ariani ed ebrei. E lei dice che questa è una contesa, che questo è un dissidio, non solo relativo a questo secolo ma ad ogni epoca. Quindi, lei è chiaramente antisemita.
E non mi sorprende, perché tutti gli uomini che ha citato e da cui trae ispirazione – Spengler, Heidegger, che è anche un grande filosofo, naturalmente, e altri – sono contaminati, corrotti, contagiati da questa piaga che è l’antisemitismo.E i suoi colloqui con Alain de Benoist in Francia, i suoi legami con Alain Soral, che ha prefato un suo libro e che è uno dei leader dell’antisemitismo francese – tutto questo parla da sé. Dunque, come può lei affermare di essere estraneo al razzismo?
Dugin: Lo confermo, mi è assolutamente estraneo. Penso che ogni popolo abbia i suoi angeli, i suoi archetipi. I popoli non sono solo corpi collettivi che sono fisicamente presenti, ma hanno un’anima. Così, esiste l’anima del popolo ebraico, che ammiro e che rispetto. Ho molti amici in Israele, in ambienti tradizionalisti di Israele che condividono la mia opinione. Sono ebrei che credono in Dio. Al contrario di lei, che si definisce come un ebreo che non crede nel Dio ebraico. Per i miei amici, questo sarebbe assolutamente antisemita, perché gli ebrei sono il popolo di Dio, e questa ne è l’essenza. Così, senza Dio, gli ebrei perdono la loro essenza, la loro missione religiosa, il loro posto nella storia.
Ciò che è importante è che esistono differenze tra i popoli, e io insisto sulla differenza tra le anime dei popoli, tra gli angeli dei popoli. Ma sono contrario a qualsiasi tipo di gerarchia o razzismo. Non dico che la civiltà indoeuropea o greca, o europea o germanica o indiana o iranica sia migliore, che la tradizione islamica o giudaica sia migliore – penso che siano diverse.
E riguardo al processo di globalizzazione che lei ha descritto. Se fosse come lei ha detto, non avremmo nulla contro di esso. Se ci fosse un dialogo, a cui tutti partecipano – cristiani, musulmani, cinesi – difendendo il proprio insieme di valori, se la globalizzazione fosse un dialogo aperto e giusto e realmente democratico per trovare il meglio in tutte queste civiltà, nessuno vi si opporrebbe, credo. Almeno io non mi opporrei. Ma oggi essa rappresenta la proiezione da parte dell’Occidente di idee occidentali su ciò che è buono o cattivo imponendole come valori universali. Capitalismo, economia di mercato, ideologia dei diritti umani, libertà individuale, edonismo, tecnocrazia. Tutti questi elementi dell’esperienza storica e sociale occidentale sono proiettati su scala mondiale, e questo si chiama universalismo. E io sono contrario.
Per quanto riguarda Solženicyn, mi attengo anch’io a lui, poiché era uno slavofilo. E ha combattuto contro l’autoritarismo comunista proprio a favore del popolo russo inteso come identità collettiva. Io non difendo il comunismo, mi sono opposto al totalitarismo sovietico. Sono stato un dissidente negli anni Ottanta. Ma, come Solženicyn, non sono stato un dissidente filoliberale; come Solženicyn, ero e sono antiliberale. Lei ha anche menzionato Herzen. Ha citato alcuni dei nomi appartenenti alla storia russa. La maggior parte di loro erano occidentali. Essi erano etnicamente o culturalmente russi, ma ideologicamente non erano russi, non hanno seguito la nostra tradizione. La nostra tradizione si basava su un’antropologia e un’ontologia completamente diverse.
E curiosamente Herzen, che era un occidentale nelle sue idee ed è emigrato, in seguito è tornato su una posizione molto nazionalista.Turgenev no, ma Herzen lo fece. Dunque, il capofila degli occidentali russi, dopo aver sperimentato la cultura occidentale durante l’emigrazione, aveva fatto ritorno, come molti dei nostri dissidenti di rientro dall’Occidente, a idee molto nazionaliste. Per cui penso che dovremmo preservare con cura queste identità – ebraica, semitica, islamica, russa, europea – in forme diverse, e cercare di trovare un nesso tra di loro. Evitare questa versione semplicistica, totalitarismo contro democrazia. Hannah Arendt, che anch’io ammiro, ha detto che il totalitarismo è un fenomeno moderno, non è un fenomeno tradizionale.
Quindi, se contrapponiamo semplicemente democrazia e liberalismo al fascismo o al totalitarismo comunista, la nostra sarà una visione semplicistica. Penso che oggi dobbiamo immaginare qualcosa d’altro, qualcosa che vada al di là della modernità, e in questo senso, tutte e tre le teorie politiche moderne, liberalismo, comunismo e fascismo, sono ideologie che devono essere superate, dobbiamo andare oltre. Ma c’è qualcosa di interessante anche in alcuni pensatori comunisti, come Gramsci, o in alcuni comunisti francesi come Bataille o Debord. Ci sono davvero tanti pensatori interessanti, non dovremmo semplicemente identificare Bataille con i Gulag, o Heidegger con Auschwitz o insistere sul fatto che tutti i liberali sono criminali che bombardarono Hiroshima. Dobbiamo individuare qualcosa di sano in ognuna di queste tradizioni, o meglio, superarle, andare oltre.
Lévy: Sul Giudaismo, lei deve rettificare le sue informazioni. È un po’ più complicato di così. Essere ebreo, naturalmente, significa avere un rapporto con Dio. Ma è un rapporto che si basa sullo studio, più che sul credo. E questa è, tra l’altro, la principale differenza tra Ebraismo e Cristianesimo.
Su Herzen, quello che lei non sembra capire, che poi è ciò che costituiva la grandezza di Herzen, era la capacità di andare avanti e indietro. Arricchire la tradizione occidentale con la tradizione russa, e viceversa. Questa era la grandezza di Herzen, di Puškin, di tutti gli anti-eurasisti, dei russi filoeuropei del XIX e del XX secolo. Sacharov, che per me è un altro grande eroe del XX secolo, per esempio aveva un piede in Russia e un piede nel liberalismo e nella democrazia. Ha creduto in questi due aspetti e ha dedicato tutta la sua vita al progetto di combinare le due cose. E ciò che temo quando leggo lei, e ciò che riscontro quando leggo lei e tutti gli scrittori di questa corrente eurasista che si presume ispiri Putin, e ciò che trovo così malsano, così maleodorante di morte e così nichilista, è il fatto di concepire queste civiltà come blocchi.
Lei afferma di rispettare l’Islam, la civiltà giapponese, la civiltà turca – e forse gli ebrei. Ma a due condizioni: che ognuno resti al suo posto, e che ci sia meno comunicazione possibile tra di loro. E questa concezione della cultura, delle civiltà considerate come blocchi chiusi su se stessi, lei la condivide con un pensatore americano che conosce, e avrebbe dovuto menzionare lui piuttosto che Guy Debord – mi riferisco a Samuel Huntington. Samuel Huntington con la sua idea di uno scontro di civiltà è affine ai pensatori presenti oggi in Russia e che lei qui rappresenta, con questa idea di blocchi chiusi che sono virtualmente in guerra tra loro.
E quando si considera Vladimir Putin oggi, ciò che dice quando si rivolge all’Europa, quando si rivolge all’America, quando parla di diritti umani e così via, quando si rivolge all’Ucraina, quando aggredisce l’Ucraina in Crimea, è palese che il suo sia un discorso di guerra.Quindi una filosofia della guerra, una filosofia che considera le civiltà come blocchi olistici in guerra gli uni contro gli altri, ha come risultato naturale anche una prassi di guerra, che oggi viene attuata da Vladimir Putin. Dico davvero. Credo veramente che ci sia un legame tra, da un lato, il suo modo di pensare e quello di Huntington; e, dall’altro lato, l’occupazione della Crimea, i trentamila morti in Ucraina e la guerra in Siria con il suo bagno di sangue, tragico e orribile.
Dugin: Sono d’accordo. Apprezzo molto Huntington, penso che la sua visione sia molto più corretta di quella di Fukuyama o del liberalismo. Condivido l’idea secondo cui le civiltà esistono, e che dopo la caduta di questi due campi ideologici, comunismo contro capitalismo, esse giocheranno un ruolo decisivo nella storia. In Huntington, concordo, c’è una sorta di visione semplicistica della civiltà. Ho dedicato i miei ultimi 24 libri allo studio delle civiltà [1], cercando di capire le differenze tra di esse. Cercando di descriverle…
Lévy: Non sto parlando di differenze, sto parlando di ponti. Le differenze sono ben note a tutti. Ma ha dedicato altrettanti libri alla ricerca di ponti, di collegamenti?
Dugin: Quando cerchiamo di costruire ponti troppo presto, senza conoscere la struttura dell’Altro, il problema è l’Altro. L’Occidente non intende l’Altro come qualcosa di positivo. È sempre così; noi cerchiamo immediatamente di scoprire ponti, ma essi sono illusioni, non sono ponti, perché stiamo proiettando noi stessi. L’Altro da sé è concepito come identico a sé, è l’ideologia del medesimo. Noi abbiamo invece prima bisogno di comprendere l’alterità. Ho scritto 24 libri dedicati alla comprensione di coloro che sono altro da noi, per comprendere il pensiero occidentale, islamico, ebraico, europeo, russo non come qualcosa che è già conosciuto.
Penso che in realtà le civiltà siano a noi sconosciute, siano attori sconosciuti, che stanno emergendo solo ora, e dobbiamo prima studiarle, correttamente, e solo dopo possiamo creare ponti.
Lévy: Lei va spesso negli Stati Uniti?
Dugin: Di tanto in tanto, ma ora sono sottoposto a sanzioni.
Lévy: Spero che le sia permesso di tornarci; scoprirebbe che nelle università americane niente è più attivo di questi dipartimenti che si dedicano agli studi sull’alterità. L’America ha molti difetti, molti problemi, ma una delle cose buone dell’America di oggi – da molto tempo, ma oggi più che mai – è questa attenzione all’alterità, è questo sguardo molto penetrante nel corpo e nell’anima di tutte le culture straniere. Non si può immaginare quanto siano vivide, vibranti, aperte all’altro le università americane. E a volte anche le università francesi. Naturalmente, questa attenzione all’alterità può avere anche un lato oscuro e, a volte, rivela una pervicace correttezza politica. Ma c’è una cosa che non si può negare: la conoscenza dell’alterità che abbiamo in Occidente. Non è abbastanza!
Possiamo sempre migliorare l’apertura delle nostre braccia, dei nostri cuori: ma è realtà! Ora lei ha detto che ho ragione – va bene, una domanda. Che cosa pensa dell’aggressione del suo paese alla Crimea? Quando la Francia ha aggredito l’Algeria, ero solo un ragazzo, avevo quattordici anni, ma ero nelle strade. Quando l’America ha aggredito il Vietnam, stavo dimostrando. Oggi, cosa pensa dell’occupazione della Crimea? E cosa pensa dell’aggressione nei confronti dell’Ucraina orientale da parte dei paramilitari o dei militari del suo paese?
Dugin: Nel suo libro lei afferma di rammaricarsi di aver manifestato contro gli americani. Ma è lecito cambiare idea. Oggi, lei sta difendendo l’impero americano, l’impero liberale globale. Questa è la sua scelta e io la rispetto. Io difendo la civiltà eurasiatica, non la Russia come singolo paese – non sono tanto un patriota della Federazione russa e non appoggio tutto ciò che fa il nostro governo. Non sostengo automaticamente tutto questo. A mio parere, l’Ucraina è un paese caratterizzato da due popoli e due civiltà, che sono etnicamente molto vicine. L’Ucraina è parte e culla della civiltà russa. In un certo senso, gli ucraini sono i nostri più diretti progenitori, sono russi più puri di noi, perché continuano a vivere nella culla della nostra tradizione, mentre noi siamo emigrati verso Est. Così, storicamente l’Ucraina si è andata creando a partire da due tendenze aggressive da parte dell’impero russo: da una parte l’aggressione contro la Turchia, perché la Nuova Russia era composta da territori turchi, Crimea e ciò che oggi è Ucraina orientale, mentre l’altra parte è stata sottratta alla Polonia, che era popolata da russi occidentali, i cosiddetti ucraini.In questo modo la Russia ha storicamente, attraverso l’aggressione nei confronti dei paesi vicini, creato l’Ucraina. E l’ultimo pezzo è stato aggiunto da Stalin, con ciò che in precedenza faceva parte dell’impero austro-ungarico: Lemberg, o Lwów.
Quindi l’Ucraina è un’entità composita che è apparsa dopo la caduta dell’Unione Sovietica. Si è avuta la possibilità di creare un’identità ucraina, come ad esempio esiste l’identità belga, con due popoli che vivono e si riconoscono e si rispettano a vicenda. In Belgio ci sono due popoli, e se ad esempio i valloni volessero sostenere che i fiamminghi sono cittadini di rango inferiore perché germanici, ciò equivarrebbe esattamente a quanto è accaduto in Ucraina.Il neonato Stato, che storicamente non esisteva, ha avuto la possibilità di creare la sua struttura nazionale rispettando entrambe le genti che vi abitano, in Ucraina orientale e occidentale, e trovando un equilibrio.
Ho sostenuto tale posizione, e ce ne sono altri, anche nell’Ucraina occidentale, che condividono questo punto di vista.Ma alla fine, politicamente, ha contato solo la parte occidentale rappresentata a Maidan, dove lei ha cercato di indurli a liberarsi della Russia, cosicché la parte occidentale ha soggiogato l’altra parte. La Russia è intervenuta per salvare questa parte dell’Ucraina. Dopo di che, credo, abbiamo commesso un errore.Avremmo dovuto liberare l’Ucraina orientale insieme alla Crimea, e avremmo dovuto proporre di rifondare l’Ucraina, un’Ucraina indipendente come ponte tra noi e l’Europa, basata sul rispetto di entrambe le identità. Questo è stato l’errore, che abbiamo preso solo la Crimea e il Donbass. Avremmo dovuto restaurare e ricostruire l’Ucraina nel suo complesso.
Lévy: Per il momento, l’unico ponte che è stato creato è tra la Crimea e la Russia. Per il momento, l’unico edificio che è stato costruito è un’enorme base militare russa a Sebastopoli, orientata contro i nemici che posso immaginare, e non ho visto negli ultimi anni nei discorsi di Putin o di altri, nessuna propensione a ricostruire una grande Ucraina bi-nazionale.Vedo una pura e rabbiosa aggressione e violazione del diritto internazionale, vedo un tentativo di riscrivere e rivisitare la storia, cosa che tra l’altro, se capisco bene, lei sta perseguendo oggi. Quando lei dice che l’Ucraina è un nuovo Stato, questo è ciò che ho sentito… Come può dirlo? L’Ucraina esisteva prima della Russia.
Dugin: Sì. Questa è la nostra storia comune.
Lévy: Il principe Volodymyr, che fu battezzato e che fu all’origine della cristianizzazione dell’Ucraina moderna e della Russia moderna, era un principe di Kiev, non della Moscovia. Quindi l’Ucraina è un paese antico, più antico della Russia. Questa è la verità che gli storici revisionisti, al Cremlino e tutt’intorno, cercano di rivisitare.
Dugin: Questa è Russia.
Lévy: Lei può, se vuole, scegliere, come fa il signor Trump, la sua «verità alternativa». Ma, purtroppo, i fatti sono lì. L’Ucraina è una nazione antica. Anche la Crimea. E la Crimea è passata nelle mani dei russi solo per via di un recente processo coloniale. Ad ogni modo… Le discussioni su questi temi sono interminabili; il meglio che possiamo fare, signor Dugin, è rispettare, per quanto imperfette siano, le leggi internazionali, quelle stesse leggi che potrebbero impedirci di cadere in un’altra catastrofe come quella che è costata al suo popolo 24 milioni di morti, 24 milioni di coraggiosi soldati e civili annientati da Hitler, e che è costata all’Europa una simile rovina.
C’è un’architettura di sicurezza che è stata costruita dopo la guerra fredda, peraltro in collaborazione tra l’Occidente e la Russia, e dobbiamo fare del nostro meglio, per i nostri figli, per preservare e salvaguardare questa architettura di sicurezza imperfetta ma fondamentale. Ciò che Putin ha fatto in Crimea, ciò che sta facendo in questo momento proprio nell’Ucraina orientale, ciò che sta facendo quando gioca col fuoco e con il massacro e il bagno di sangue in Siria, va contro gli interessi dei nostri figli e nipoti.
Dugin: Non credo proprio. Sono d’accordo sul principio che abbiamo bisogno di un qualche diritto internazionale. Ma il diritto riflette lo status quo, l’equilibrio di potenza. Il diritto non è mai completamente astratto. Per esempio, il diritto si stabilisce dopo una vittoria – quando l’Occidente e l’Unione Sovietica insieme hanno vinto Hitler, abbiamo stabilito il nostro diritto internazionale. Quando il comunismo è caduto e l’Unione Sovietica è crollata, c’è stato un tentativo di creare un diritto incentrato sull’Occidente, basato sulla vittoria nella Guerra Fredda. E ora che questo diritto, quell’equilibrio internazionale di potenza è in decadenza, lo stiamo sfidando e cerchiamo di creare una nuova architettura internazionale che rispetti le civiltà.Per cui penso che stiamo giungendo alla fine del sistema mondiale unipolare, basato su questa vittoria ideologica e geopolitica, perché la fine del momento unipolare, come ha affermato Charles Krauthammer, sta avvenendo ora.
Ricompaiono le civiltà. E non possiamo comprendere questa emersione delle civiltà nei termini alla vecchia versione del sistema dello Stato nazionale westfaliano. Oggi dobbiamo rivederlo in senso multipolare [2], per rispettare l’Altro, accettare l’Altro e non solo culturalmente. Sono d’accordo con lei sulle università americane, perché sono un ammiratore della tradizione di Franz Boas in antropologia, e di Claude Lévi-Strauss. Sono i miei maestri. Questo pluralismo antropologico, concordo, corrisponde precisamente alla tradizione americana e francese. Ma non si riflette in politica, o si riflette in modo molto perverso. Penso quindi che ci sia una grande contraddizione tra questo pensiero antropologico nelle università americane e nelle università francesi, e una specie di forma neoimperialista coloniale molto aggressiva volta a promuovere gli interessi americani su scala mondiale manu militari.
Non potrei biasimare solo Putin per la Siria. Ad esempio, anche lei è stato attivo nella crisi libica che è costata al popolo libico fiumi di sangue. Lei ha invocato il rovesciamento di Assad, e ciò è equivalso a sostenere una parte in questa guerra civile contro l’altra. Quindi penso che in quella situazione sia sbagliato accusare solo Putin. Questa è un’immagine sbagliata, Putin ha reagito, Putin ha cercato di affermare in questo contesto la voce russa, e anche quella cinese. Si tratta dei cinque re contro l’impero: lei siede dalla parte dell’impero, quindi accusa i cinque re di tutti i crimini. Noi siamo i cinque re.
Lévy: Io sono al fianco di Solženicyn, sono al fianco di Bukovsky, sono al fianco di Anna Politkovskaja, sono al fianco di Leonid Plyushch, sono al fianco di tanti amici russi morti, e a volte di qualcuno ancora in vita. Il grande disaccordo tra noi – e, avvicinandoci alla conclusione, stiamo qui venendo al punto chiave – è il seguente. Prima di tutto, il multipolarismo non è qualcosa di nuovo. C’è sempre stato il multipolarismo. E prima del crollo dell’Unione Sovietica, si è avuto un vero e proprio multipolarismo tra America, Russia e Cina; quindi non è una cosa nuova. Numero due, lei afferma che tutti dovrebbero rispettare l’altro da sé e non interferire nel processo della civiltà dell’altro.Se guardiamo in tutta onestà alla situazione odierna, il fattore di interferenza, colui che cerca veramente di destabilizzare l’altro non è Trump che destabilizza la Russia, ma Putin che destabilizza l’America e l’Europa. Questi sono fatti, ed essi sono verificabili. Non c’è partito di estrema destra e neofascista in Europa che non sia per lo meno benedetto o, nella peggiore di casi, finanziato dalla Russia. Non c’è crisi in Europa che non sia stata favorita dalla Russia.
Non si contano il numero, nel 2014 e 2015, di violazioni dello spazio aereo in Polonia, Lituania e anche talvolta in Francia da parte degli aerei russi. Lei conosce, come la conosco io, la breve dichiarazione di Putin – che è un buon giocatore di scacchi – fatta nel 2014 o 2015, secondo cui andrebbe riesaminata la legalità dell’indipendenza degli Stati baltici. Pertanto, oggi il vero imperialismo, quello che sta davvero interferendo e seminando il disordine negli affari altrui, ahimè, è quello di Putin. E non ho nemmeno bisogno di parlare dell’America, dove è ormai dimostrato che è avvenuto un enorme, brutale ed evidente intervento russo nel processo elettorale delle ultime elezioni.
E un’ultima osservazione. Siria, Libia: queste non sono guerre civili. Sono guerre contro i civili. Una guerra di uno Stato, di un esercito, contro i civili. La verità è che ci sono persone in Occidente, come me, e in Russia e anche in Ucraina, che hanno preso le parti dei civili in Libia, per evitare un bagno di sangue. Per prevenire ciò che è successo in Siria, che ha causato 400.000 morti, 3 milioni di sfollati e così via. Questa è la verità. Lei parla di «fiumi di sangue». Ma si rende conto che queste sono le esatte parole usate dal figlio di Gheddafi per minacciare il suo popolo? In ogni caso questi sono i «fiumi» che l’Occidente ha evitato di far sanguinare.Questo è ciò che l’Occidente ha fatto di buono in Libia. E questo sforzo umanitario occidentale per salvare il popolo dalla barbarie del proprio Stato non può essere paragonato a ciò che un grande Stato, la Russia, fa con i suoi grandi aerei, con il gas di Bashar Al-Assad, e cioè alimentare la guerra di aggressione di un macellaio a cui non importa delle nostre discussioni su civiltà, ponti, blocchi e così via, che è solo un boia, oggi sostenuto dal suo presidente e dall’Iran.
Dugin: Ritengo ci siano così tante esagerazioni e figure retoriche che non sono incline a rispondere, ma non perché non ho risposta. Per esempio, sull’interventismo russo. Da un lato, è stato dimostrato che non c’è stato un intervento a favore di Trump, e c’è stato invece un intervento a favore di Hillary da parte di alcuni oligarchi russi. Lo stesso vale per il finanziamento dei movimenti di estrema destra in Europa. Si diffondono molte voci in merito agli interventi russi, il più assurdo dei quali riguarda la crisi catalana – ma il tutto senza prove. Ma comunque, non mi piace parlare dei fatti. Ciò che qui è interessante…
Lévy: Allora di cosa vuole parlare, se non dei fatti?
Dugin: I fatti – dal latino facere, fare – sono qualcosa che è stato fatto, sono una costruzione. E chi controlla i media, come ha detto Guy Debord, controlla i fatti.
Lévy: Troppo facile! E Guy Debord, che è stato un valido e brillante scrittore, non ha mai detto una cosa così semplicistica! Sono soprattutto i lettori e i giornalisti a controllare i media. Anche i proprietari dei media li controllano in una certa misura. Ma per la maggior parte lo fanno lettori e giornalisti. Almeno in Occidente. E mi permetta di dirle una cosa: questo è uno degli indiscutibili vantaggi dell’Occidente.Oggi in Francia si discute di Le Monde, il giornale più grande. C’è un progetto dei proprietari di Le Monde per trasferire le loro azioni a una fondazione che risponderà all’interesse pubblico. Così Le Monde apparterrà ai suoi lettori, e ai suoi giornalisti!
Dugin: Non sto parlando della proprietà, sto parlando di epistemologia, di chi controlla l’epistemologia. I mass media, per esempio; Régis Debray ha detto che come consigliere di Mitterrand, non ha potuto realizzare alcun piano appoggiato dal presidente a causa di qualche resistenza proveniente da nessun luogo specifico. Quindi esiste un centro epistemologico di controllo, che non coincide con i proprietari dei media.
Questa è una battaglia epistemologica. Abbiamo creato un sistema di fatti o eventi selezionati, fatti di parte, e quando la Russia ha cercato di fare lo stesso, creando i nostri mass media, Russia Today, Sputnik, siamo stati accusati di aver creato notizie false. A dire la verità, entrambi stiamo producendo notizie false.
Lévy: La grande differenza è che quando è stata ideata Russia Today, essa si basava sulla verticalità – democrazia verticale, come lei stesso dice. È stata fondata da Putin. Questo è quello che ha detto il presidente Macron, tra l’altro, la prima volta che ha visto Putin al Palazzo dell’Eliseo: questa specie di canale non è un media, ma uno strumento di propaganda, e aveva ragione. In altre parole, quando si ha un conflitto di interpretazione in Occidente, tra Le Monde e Le Figaro, tra il New York Times e un’altra fonte di notizie, si tratta di una lotta tra professionisti, individui, in un sincero tentativo di trovare la verità.
Non si tratta di un mezzo di propaganda, emanazione della sfera celeste del potere, in conflitto con il resto della società.E questo ancora una volta è un vantaggio dell’Occidente. Perché quel che è vero, signor Dugin, è che abbiamo superato l’epoca in cui la verità viene dall’alto, come in Platone. Bisogna cercarla e ricercarla con sincerità e genuinità. Per questo non abbiamo bisogno dell’intervento dello Stato. Non abbiamo bisogno dei troll, manipolati dal Cremlino o da chiunque altro. Abbiamo bisogno di lettori, giornalisti, società civile, tutti animati da una sincera e autentica volontà di verità, per dirla alla maniera di Friedrich Nietzsche. Lo consiglio alla Russia. È una delle tante bellezze che la democrazia può offrire alla Russia. E quando la abbraccerete, essa non sarà occidentale. Sarà un bene comune, e quindi anche russo.
Dugin: Mentre Bush si trovava a Mosca, durante l’invasione degli Stati Uniti in Iraq, disse: «Siate pazienti, avrete anche voi la democrazia, come in Iraq». Al che, Putin gli rispose: «Grazie di cuore, ma troveremo un altro modo per costruire la nostra società».
Penso che il quadro che lei abbia fornito sia corretto, ma che non abbia nulla a che fare con la moderna società occidentale, dove esiste un modo squisitamente totalitario di descrivere i fatti, non a favore di un piccolo gruppo di proprietari di un mezzo di comunicazione di massa o di un altro, ma a favore di un’élite politica. E queste élite sono in questo senso platoniche, dato che traggono le loro verità dalla loro ideologia liberale; anche questo è qualcosa di platonico. E il popolo è in rivolta contro tutto ciò, in diversi paesi ma anche in Occidente. Penso che l’ondata di populismo rappresenti proprio il rigetto da parte del popolo europeo, non di destra o di sinistra, ma il rigetto da parte dei normali cittadini europei di questa agenda assolutamente astratta delle élite liberali.Ritengo quindi che non sia una questione legata allo Stato, ma alle élite politiche.
Lévy: C’è una grande lotta in tutto il mondo tra valori liberali e valori illiberali. Questa lotta si estende anche ai nostri paesi. Lei ha dei liberali in Russia e noi abbiamo degli illiberali in Europa. E la verità è che il liberalismo deve far fronte allo stesso tipo di crisi di credibilità che ha affrontato negli anni Trenta o all’inizio del XX secolo. Ma in questa lotta, signor Dugin, oggi posso confermarlo, visto che siamo giunti alla fine di questa discussione, ci troveremo ai lati opposti delle barricate. Perché per me la libertà di stampa non è totalitarismo. Il rispetto delle idee liberali e della libertà non è un altro totalitarismo.
La laicità, i diritti delle donne non possono essere posti, come lei ha fatto all’inizio del nostro incontro, sullo stesso piano del fascismo e del comunismo. Oggi è in corso un vero e proprio scontro di civiltà. Ma non si tratta di quello che lei cita nei suoi libri, tra il nord e l’est e l’ovest e il sud e tutto il resto; è in atto uno scontro di civiltà in ogni parte del pianeta tra chi crede nei diritti umani, nella libertà, nel diritto per un corpo di non essere torturato e martirizzato, e chi è felice dell’illiberalismo e della rinascita dell’autoritarismo e della schiavitù. E questa è la differenza tra me e lei. Mi dispiace di averlo confermato ancora una volta oggi.
Traduzione di Donato Mancuso
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[1] Il Professor Dugin fa riferimento alla collana di volumi che compongono il progetto Noomachìa. Cfr. Aleksandr Dugin, Introduzione a Noomachìa. Lezione 1: https://www.geopolitica.ru/it/article/introduzione-noomachia-lezione-1-noologia-la-disciplina-filosofica-delle-strutture
[2] Cfr. Aleksandr Dugin, Teoria del Mondo Multipolare, AGA Editrice, 2019. http://www.orionlibri.net/negozio/teoria-del-mondo-multpolare/
(*) da geopolitica.ru