di Paolo Macry
Il prof. Paolo Macry, ordinario di Storia contemporanea all’Università “Federico II”, il 18 ottobre è intervenuto durante la presentazione de l’altro Radicale nella sala di Guida Editori a Napoli. Dalle pagine del libro ha tratto spunto per affrontare la crisi che vive oggi la nostra società, evidenziando come essa provenga da lontano e incida in modo preoccupante sui modi di costruzione dell’opinione pubblica. Quest’ultima subisce i guasti delle deformazioni indotte da un sistema comunicativo che non fornisce conoscenze reali capaci di sostenere davvero il processo della democrazia. L’esperienza radicale, conclude Macry, ricorda a tutti che esistono principi inderogabili alla base dell’azione politica: solo così si potranno governare proficuamente le trasformazioni in atto.
È abbastanza fatale che un libro del genere si legga oggi, che siamo tutti sui carboni ardenti, a partire da un richiamo molto forte all’attualità politica, come ha fatto Biagio de Giovanni che ha firmato una post-fazione che definirei non rituale e, se vogliamo, un po’ appuntita.
Anche a me è capitato di puntare l’attenzione su alcuni elementi, che ritengo qualificanti dell’esperienza radicale nell’Italia del secondo dopoguerra e con riflessi sull’attualità. Ovviamente tutto parte dai gloriosi anni ‘70, dal referendum sul divorzio nel 1974 e dalla campagna per la depenalizzazione dell’aborto, con l’emanazione della legge 194 e poi le altre campagne referendarie.
Alla fine del decennio, alcuni referendum sono stati vinti e altri persi; erano battaglie molto difficili, realizzate in un’Italia ancora clericale, securitaria – basti ricordare il referendum sulla legge Reale, votato all’indomani del caso Moro, che rappresenta una ferita profonda, tutt’altro che un graffio, sulla pelle del Paese. Se si pensa che in quel clima, in quell’Italia, sono aperte battaglie contro il codice Rocco, contro il porto d’armi, contro l’ergastolo, contro i manicomi e per abolire il Concordato… beh, la carne al fuoco era davvero tanta.
Retoricamente, si potrebbe dire che si trattava di scelte coraggiose. Indubbiamente lo sono, ma sono interessanti anche per il modo in cui vengono costruite queste battaglie. Certo, su quelle battaglie hanno converso sia il Partito comunista che quello socialista, ma insomma tutto partiva dall’iniziativa della piccola formazione radicale.
Rippa nel libro fa cenno al “passaparola” che caratterizzò la raccolta delle firme per il referendum sulla depenalizzazione dell’aborto, che poi non si fece mai. Sull’aborto riferisce anche della sinergia che ci fu tra Pannella e Scalfari, con il settimanale «L’Espresso» che diffonde le cartoline nelle sue copie, dalle quali si ricava una banca dati essenziale per la successiva raccolta delle firme per indire il referendum.
Tutto ciò colpisce, perché da una parte si inventano delle “reti” – oggi è un termine abituale, ma allora non lo era –, sono reti che fruttano: sia politicamente, sia editorialmente. «L’Espresso» moltiplica le sue vendite e, del resto, Eugenio Scalfari non era certo uno sprovveduto da questo punto di vista. Qualcuno dirà che rappresentavano una realtà minoritaria.
Ma, attenzione, tutto sommato i radicali, anche in questa sequenza di sconfitte, si garantiscono in qualche modo uno zoccolo duro che varia dal 15 al 20% dell’opinione pubblica italiana. E lo fanno su un tema come quello dei diritti civili che, insomma, in Italia non trova certo la sua culla storicamente. Nemmeno nel secondo dopoguerra, con tutte le lodi che si possono pur fare al “compromesso costituzionale”. E questo perché i grandi partiti, di fronte a questi obiettivi, hanno un atteggiamento non lineare, talvolta opportunistico e reticente....
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