A quasi un decennio da quel Sessantotto, di cui si celebra il cinquantenario, nel 1977 comparve alla Sapienza, l’Ateneo romano, uno smisurato manifesto con sopra scritto: “Non abbiamo né passato, né futuro. La storia ci uccide”. L’immagine è riaffiorata alla mente, ascoltando il 26 luglio scorso l’intervento che Stefano Folli ha pronunciato alla prima presentazione del libro-intervista l’altro Radicale: essere liberali senza aggettivi (Guida editori; pp. 115) di Giuseppe Rippa. Quello slogan sanciva lo spegnimento della proiezione progettuale, accompagnato dal rifiuto della memoria: in sostanza, proprio la condizione in cui si cala questo testo che Folli accredita come un saggio di cultura politica, dove alla memoria storica invece si ricorre per compiere uno sforzo che riporti – come affermato dall’editorialista – “il tema dei diritti civili nel dibattito italiano”.
All’estate di uscita de l’altro Radicale, è seguito un autunno durante il quale gli incontri di presentazione hanno permesso di affrontare le questioni politiche del momento e alimentare confronti, confortando così l’intenzione riposta nella sua pubblicazione, che mirava a rifornire di elementi di analisi una politica auto-confinatasi nell’irrilevanza dell’opportunismo trasformistico.
Più che riassumere qui le opinioni espresse dagli intervenuti, che possono leggersi direttamente nelle pagine seguenti, serve dare qualche ulteriore indicazione sulle ragioni che hanno originato il testo e su come va inteso il “cambiamento in senso laico, liberale e libertario” auspicato nella nota conclusiva del libro, in opposizione ai falsi cambiamenti che ci sono stati finora propinati dalla cronaca politica.
Risultato di numerose ore di conversazione con il direttore della rivista, la stesura de l’altro Radicale trova lo spunto iniziale nella riflessione sulla crisi della vicenda radicale degli ultimi anni, precipitata con la morte del leader storico Marco Pannella nel 2016. La divisione nei due tronconi del PRNTT (Partito Radicale Nonviolento Transpartito Transnazionale) e della lista elettorale con Bruno Tabacci di +Europa, dove sono confluiti Emma Bonino e i Radicali italiani, non è che l’esito ultimo di un processo di marginalizzazione contrassegnato da un’oggettiva perdita di incidenza politica.
Spiegarne le ragioni dovrebbe essere se non il primo, certamente uno dei principali impegni da parte di chi quella vicenda ha contribuito a costruire, ma non sembra se ne abbia piena consapevolezza. Con rigore vi si applica Giuseppe Rippa, che non esita a sviscerare gli aspetti della questione giudicando con severità anche alcune delle sue stesse scelte e individuando nello smarrimento dell’ “alterità radicale” la vera causa dell’attuale eclissi.
Per andare sul concreto, tale “smarrimento” meglio si comprende riferendosi a una circostanza, relativa proprio al trattamento riservato da Radio Radicale al libro, e a una considerazione circa l’approdo di Emma Bonino nella lista +Europa. Degli otto dibattiti che si sono svolti attorno a l’altro Radicale, cui hanno partecipato politici accademici e giornalisti di varia estrazione, nemmeno uno è stato mandato in onda da Radio Radicale. Da Calenda a Brunetta, da Bertinotti che illustra l’ultimo fascicolo di «Alternativa per il Socialismo» ad Amato che si intrattiene sull’anniversario del governo Nitti, Radio Radicale trasmette di tutto, ma oscura il confronto sul libro-intervista del direttore di «Quaderni Radicali» dimostrando di non essere affatto “altro” rispetto ai media uniformati sul trittico RaiMediaset-La7-Sky. Marginale sin che si vuole, ma il fatto è indicativo di uno stato di cose che registra la metamorfosi di un mezzo che era nato per contrastare la disinformazione e che oggi di fatto vi si omologa nei contenuti e nei metodi, lasciando così sguarniti i cittadini di una possibile reale alternativa al mainstream rifilato dai circuiti informativi convenzionali.
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