La crisi politico-istituzionale, economica, socio-culturale italiana (che è parte della crisi dell’Europa e perché no dell’Occidente) ha una sua specificità che merita di essere interpretata in modo più diretto e preciso. Si potrebbe partire da una notizia poco diffusa: la ricerca di Gallup International che, nel suo 42° rapporto “Speranza e ottimismo sulla pace globale”, realizzata in collaborazione della Doxa, fa il punto sulle aspettative dei Paesi di tutto il mondo. Non è il solo segno (da cui possono partire molte considerazioni utili al nostro ragionamento).
Scienze.fanpage.it, monitorando le previsioni per il 2019, dice: “… Nel momento dell'anno in cui si sprecano i buoni propositi e abbondano le frasi retoriche sulle occasioni mancate, Wingia (Worldwide Indipendent Network of Market Research) pubblica il suo “Annual global End of Year survey reveals a world of conflicting hopes, happiness and despair”, il resoconto annuale sul livello di felicità e soddisfazione degli esseri umani diviso per nazioni.
Partiamo subito con il dire che per noi non ci sono buone notizie, ma, forse e in linea con i risultati pubblicati, potevamo aspettarcelo… “L'ottimismo è il profumo della vita” diceva anni fa in un famoso spot il grande Tonino Guerra e, a quanto pare, l'Italia puzza visto che tra i 68 Paesi presi in analisi, il nostro è risultato quello più pessimista. Non è una notizia sorprendente ma conferma uno stato d’animo diffuso nel Paese, quel pessimismo di fondo che ha – come scrive «Investire oggi» - effetti visibili sull’economia reale, in termini di bassi investimenti, consumi stagnanti, bassa fertilità ed elevato tasso di inattività lavorativa, con milioni di persone a nemmeno cercare un impiego, in quanto scoraggiati dal trovarlo.
Reagire al pessimismo non è facile, non lo si fa per decreto o tramite una riforma, ma creando un clima di fiducia, che poggi non nell’ostentazione di un ottimismo di maniera – pratica per la quale la politica italiana è maestra da anni…
La radice antica di questo stato di cose è riportabile a quello che può essere descritto come il ruolo che il Paese ha avuto nel dopoguerra nella logica di quello che fu chiamato il “bipolarismo coatto”. La spartizione del mondo tra le due potenze di allora, gli Stati Uniti d’America e l’Unione Sovietica, portò il Bel Paese ad esser frontiera tra i due blocchi e terreno di scambio da cui maturarono il processo politico istituzionale e il ruolo dei partiti che stabilizzò il carattere consociativo della nostra realtà.
Jalta sancì la divisione dell'Europa in blocchi contrapposti e l’Italia, con la presenza del maggior Partito comunista in occidente, divenne territorio di delimitazione tra i due blocchi che determinò, tra alti e bassi, l’esigenza di definire un equilibrio che fu realizzato con una vera e propria forma di consociativismo. Ciò a scapito dello Stato di diritto, affinché si realizzasse una pax sociale che nasceva con caratteri paternalistici. I gruppi dirigenti, sotto la tutela dei due partiti che rappresentavano le maggiori forze in campo alimentate dalla proiezione diretta delle due super potenze di allora, si formavano nello schema cooptativo che assicurava il continuismo e il controllo.
Distribuzione del debito pubblico (coperto dallo schieramento occidentale), spartizione lottizzata che definiva la mappa di quella che si poteva chiamare “democrazia fittizia”, controllo ideologizzato di ogni opposizione, ibernata nella certezza di non poter accedere al potere per la subalternità al blocco dell’Est.
È dentro questo ombrello mondiale, dove si definiva il controllo (non senza accelerazioni critiche) della mappa politico-culturale di un Paese sostanzialmente subalterno, che si è formata l’Italia del dopoguerra. E questo ovviamente senza sottovalutare le energie individuali, la creatività, la qualità di eccellenze che però erano messe nella impossibilità di fare massa critica democratica e liberale da potersi trasformare in alternativa con i caratteri dell’alterità.
Si tratta di un abbozzo di analisi, già più volte richiamata su queste pagine e che ovviamente ha pur sempre un carattere limitato anche se generale. È comunque in questo scenario che i processi di cambiamento, tecnologico, economico, culturale o sub-culturale devono essere interpretati...
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