Martedì 22 gennaio ad Aquisgrana Emmanuel Macron ed Angela Merkel hanno voluto rinnovare, aggiornato, il Trattato dell’Eliseo, risalente al 1963 e firmato da Konrad Adenauer e da Charles de Gaulle, un accordo mirante a rinnovare la cooperazione tra i due paesi nella soluzione dei problemi comuni nel quadro europeo, in particolare nel campo della difesa e della sicurezza. Come mai questo riferimento a un evento lontano e rimasto senza effetti visibili?
Qualcuno dirà che la riunificazione tedesca è stata un evento storico di grandissima portata e che sottintendeva nei paesi interessati una forte volontà di marciare insieme, ma essa fu dovuta al crollo del comunismo e alla debolezza in cui la Russia al tempo venne a trovarsi, fatti che resero possibile superare la divisione che i tedeschi subivano dal 1945 e fu resa possibile dall’accordo raggiunto tra il cancelliere Kohl e il Presidente francese Mitterrand.
Mitterrand disse sì alla riunificazione, al patto che si creasse una moneta comune europea. E fu l’euro. Il trattato del 1963 non c’entrava in alcun modo: riguardava la necessità di dar corpo a un’amicizia fra Francia e Germania, voluta per superare un recente passato - nel quale c’erano state tre guerre distruttrici, le ultime due in particolare - 1870, 1915/18 e 1939/45 – e occorreva un’alleanza stretta in luogo di una rivalità.
Ma già per l’attuazione di questo disegno di delineavano soltanto indicazioni generiche (creare vertici militari o intergovernativi e una creazione di momenti comuni sul piano dell’educazione dei giovani, come lo studio delle due lingue, forme si incontro, un liceo franco-tedesco (e questo fu l’unico terreno in cui si fece qualche cosa).
In realtà i due firmatari dell’accordovolevano cose assai diverse: De Gaulle pensava alla restaurazione di una potenza mondiale francese, per non restare succube degli Stati Uniti e dello stretto rapporto tra USA e Gran Bretagna, mentre Adenauer aveva in mente altri problemi come la riunificazione tedesca o le difficoltà interne, con il suo partito (la CDU, la democrazia cristiana tedesca) atlantista ed europeista e l’SPD (la socialdemocrazia tedesca) che a tal fine riteneva possibili accordi fra le due Germanie (nonostante il fatto che era indispensabile l’assenso di Mosca, che dominava la Germania dell’est e tutto l’est europeo).
Bastano questi pochi cenni per capire come mai il Trattato dell’Eliseo rimase sulla carta. Non è facile quindi capire perché oggi, per rilanciare l’accordo di stretta cooperazione tra i loro due paesi Macron e Merkel abbiano voluto questo richiamo al Trattato dell’Eliseo, ma le spiegazioni ci sono.
E stanno nel fatto che siamo ormai in campagna elettorale per le elezioni europee di fine maggio, cioè nello scontro fra europeismo e populismo sovranista. E si vuole allora far vedere che nessuno deve allarmarsi, visto che occorre strappare voti ai sovranisti.
La situazione dei sovranisti nei vari paesi europei non è uguale dovunque. Macron in Francia alle presidenziali del 2017 ha travolto madame Le Pen, ma si trova di fronte (a sinistra) anche “France insoumise”, che potrebbe trovare ascolto nel campo dei socialisti in gravi difficoltà. Deve quindi presentarsi con un programma elettorale che come minimo non urti le sensibilità sovraniste e anzi offra loro qualche attrattiva, se non altro per far vedere che le sue idee sono migliori di quelle degli avversari.
Quanto a Frau Merkel la sua posizione è diversa. La destra estrema in Germania finisce sempre nelle nostalgie naziste, che non sembrano poter sperare in un vero seguito, mentre il discorso è diverso per l’AfD (Alternativa per la Germania), che non contesta in toto il percorso europeo, ma si accontenta (per ora) di fermarlo al punto in cui si trova. E questa posizione minaccia la CDU di Angela Merkel, tra l’altro in difficoltà con il suo governo di coalizione con la socialdemocrazia ed esposta a critiche dalla destra del suo partito, ovviamente su posizioni …Germany first …
Poi ci sono i paesi nei quali esistono forti tendenze sovraniste: i quattro del patto diVisegrad, Polonia, Cechia, Ungheria e Slovacchia, che parlano molto, ma poi sono assai più attenti a non guastarsi con Bruxelles, da cui ricevono forti aiuti economici, di cui non possono fare a meno. E il “vivace” Orbàn – sul quale stanno riposte tante speranze del nostro Salvini - quando mette piede fuori dalla sua Ungheria si trova nel Partito Popolare Europeo, dove in tanti pensano di potere meglio controllarlo.
Arriviamo così ai paesi del nord, legati al loro stato, alla loro ineccepibile democrazia sociale, alla loro affetto per la porta di casa e che sono convinti che il vero rischio sta nel varcarne l’uscio, e che, ad avviso di chi scrive, sono i più affezionati allo statu quo, perché loro la democrazia ce l’hanno, il benessere ce l’hanno e a giustizia sociale l’hanno costruita: perché allora potenziare l’Europa col rischio di dover pagare i debiti dei frivolissimi italiani?
E così siamo a casa nostra, con i sovranisti al governo, ma nella sostanza con la coda fra le gambe per i contrasti interni, gli scarsi risultati, la necessità di attenuare l’antieuropeismo e di dover ammettere che dall’Europa e dall’euro non si esce..., anche se sono stati costretti a cambiare il bilancio dello stato. Sono forti peraltro di una sostanziale tenutadell’elettorato.
Non sembra, comunque, che il populismo sovranista in Europa sia proprio lanciatissimo. Anche perché c’è stata c’è stata la Brexit. Un avvenimento molto strano, perché a ben vedere non si sa se la Gran Bretagna sia uscita o no. Al referendum hanno vinto i leavers, ma l’attuazione dell’uscita dovrebbe essere regolata da un accordo con l’Unione europea. E un…accordo è stato concluso, ma il Parlamento inglese è restio a votarlo e quindi vorrebbero cambiarlo, cosa che gli europei non vogliono fare, essendo sembra disposti, forse, solo a ritardare la data dell’uscita.
Comunque questa Gran Bretagna uscente non sembra aver sinora ricavato altro che peggioramenti delle proprie condizioni economiche e finanziarie. Né sembra in alcun modo che si dischiudano le prospettive di un rinnovato ruolo imperiale nel mondo, che è stato uno dei maggiori motivi del voto favorevole nel referendum.
E non si deve dimenticare, accanto alla vicenda della Brexit, l’attenzione interessata di Vladimir Putin per quanto accade in Europa e quanto gioverebbe alle aspirazioni russe una vittoria del sovranismo nelle sempre più vicine elezioni europee, che lascerebbe i paesi europei divisi e deboli. E durante i prossimi mesi sarà indispensabile richiamare l’attenzione degli elettori proprio sulla Brexit e su Putin.
Per tornare al Trattato di Aquisgrana, è evidente l’intento polemico nei confronti del populismo sovranista e certamente di quello di casa nostra, stante il fatto che l’Italia è uno dei maggiori paesi del continente ed è stato uno dei sei promotori del processo di integrazione europea sin dagli inizi, in particolare nella persona di Alcide De Gasperi.
Alla firma del trattato di Aquisgrana sono stati, comunque, invitati solo Jean Claude Junker, Presidente della Commissione europea e Donald Tusk, Presidente del Consiglio europeo, con l’evidente intento di evitare che l’iniziativa potesse essere interpretata come l’avvio di un percorso alternativo a quello dell’Unione e messo in opera dalle due maggiori potenze del Continente, l’una economica e l’altra politico/democratica, con un sottinteso nazionalistico, rimarcando nel contempo che si tratta di un’iniziativa nell’ambito del percorso europeo, anche nel senso che potrebbe essere un segno dell’avvio di un’Europa due velocità.
E poi non si può non fare attenzione al fatto che non a caso per la firma del trattato è stata scelta la città di Aquisgrana, città che reca con sé un alto valore simbolico: è stata la città di Carlomagno, il re dei Franchi che volle il rinnovo dell’antico Impero nel nuovo, romano e germanico e sacro, cioè cristiano, e che insieme lo strutturò istituendo un potere non verticistico, ma stratificato, come appunto accadeva nell’ordinamento feudale. E poi Aquisgrana è stata per secoli la sede degli incontri tra i re francesi e tedeschi…
Certo è anche chiaro che si apre un periodo molto problematico e che deve essere molto vigile l’attenzione da parte di quanti sono attenti alle sorti della nostra libertà in un momento molto critico, anche perché il 26 maggio non può darsi sin da ora per scontata una sconfitta sovranista, cioè di coloro che amano una democrazia illiberale.
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