Il trattato che dovrebbe regolare l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, redatto dalla premier britannica, Teresa May, e da Jean Claude Junke Presidente della Commissione dell’Unione medesima, è stato sonoramente bocciato (432 “no” contro solo 202 “sì”) dalla Camera dei Comuni lunedì sera, mentre martedì la discussione di una mozione di sfiducia al governo che era stata presentata dal leader laburista Jeremy Corbyn non è tata approvata (325 no contro 306 sì).
Del resto se è vero che le condizioni dell’uscita sancite nel trattato sono pesantissime per gli inglesi, non si può non osservare che la rinnovata fiducia al governo in carica è testimonianza di una valutazione di portata non cruciale della questione “Brexit”. Anche se il partito di governo non poteva certo approvare una mozione di sfìducia presentata proprio dal capo dell’opposizione.
La questione principale, cioè quella dell’uscita è rimasta in sospeso, anche perché i due partiti principali sono divisi all’interno e la “Questione” è di una complessità senza pari, veramente da scrivere con la lettera maiuscola. Uscire dall’Europa non è affatto facile perché non si tratta di denunciare un trattato tra due o più stati. Questa è la cosa più semplice, ma dentro il quadro dell’Unione Europea è stata costruita un’economia con ampie forme di integrazione un po' in tutti i campi. Soprattutto attraverso Germania Olanda e Francia viaggia un’enorme quantità di beni con il Regno Unito.
L’Inghilterra, ad esempio, è un paese con pochissima agricoltura e quindi dipende dall’estero per tutto il campo alimentare…( qualche inglese potrebbe anche temere che gli europei di Bruxelles li vogliano far morire di fame…). Ma anche il campo dei prodotti industriali, dei manufatti, delle automobili, dell’abbigliamento conosce un volume di scambi molto esteso. Ecco perché per arrivare al trattato di cui si è detto all’inizio ci son voluti due anni.
Il Parlamento inglese non lo ha accettato perché lo ha giudicato troppo oneroso per il paese, ma anche i paesi dell’Unione risentirebbero dell’uscita; ed è per questo che al governo tedesco sono arrivate pressioni degli ambienti industriali per proseguire sulla strada degli accordi e che sembra che almeno si comincerà ad allungare i tempi dell’uscita, oltre l’attuale scadenza del 29 marzo.
Se però si dovesse andare oltre il 26 maggio, data delle elezioni europee, si porrebbe il problema se gli inglesi potranno votare o no. Problema di non facile soluzione, perché a tutt’oggi il Regno Unito non si sa e è fuori o no. Il fatto di aver discusso le modalità dell’uscita può significare che ormai il Regno Unito è fuori e che si debbono regolare solo le conseguenze dell’uscita o che l’uscita vera a propria poteva avvenire solo dopo averne conosciuto le conseguenze?
Certo la risposta può essere solo politica e quindi condizionata da valutazioni politiche. Se si accetta la seconda ipotesi (posizione che può esser considerata valida perché il referendum era consultivo e non sembra che sia stato votato un provvedimento che abbia formalmente dichiarato che il Regno Unito non fa più parte dell’Unione, né che la famigerata Bruxelles lo ha formalmente espulso) certo gli europeisti potrebbero dire che uscire dall’Europa è ormai impossibile o quasi…
Resta comunque significatil fatto che alla bocciatura del trattato per l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea i mercati abbiano reagito facendo registrare un apprezzamento della sterlina, che significa che questo fatto, che comporta quanto meno un allontanamento nel tempo della Brexit, è considerato un bene per gli inglesi.
Certo, però, che Jeremy Corbin, leader del Partito Laburista (ed esponente della sinistra) è contro l’uscita; Corbin sa che l’ala operaia del partito è antieuropeista e anti immigrati (di cui si teme la concorrenza come offerta di lavoro a basso prezzo) e poi pensa che il progetto laburista debba perseguire la finalità fare della Gran Bretagna un paese socialista e che se perde il voto operaio il Labour diventa un piccolo partito progressista borghese e non più competitore al livello nazionale per vincere le elezioni, che vorrebbe si tenessero subito, sciogliendo anticipatamente il Parlamento e con speranza di vincerle.
Corbin è perciò contro la proposta di far svolgere un secondo referendum, anche se il primo fu voluto da Cameron dietro la propaganda dell’UKIP (Unitrd Kingdom Independence Party) di Nigel Farage, ex parlamentare tory, uscito dal partito e fondatore della nuova formazione nazionalista.
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