Sta diventando una moda lamentare il fatto che il PD non fa opposizione, si balocca nel confronto tra correnti interne, si sofferma sulle polemiche quotidiane… adesso poi che è arrivato il decreto “dignità”, a sinistra, soprattutto in quella più avanzata, sono in molti a pensare che l’attuale governo dà mostra che qualche cosa buona è in grado di farla, soprattutto nella lotta al precariato.
Tutto molto facile a dirsi, ma in realtà, a ben vedere, fare un’opposizione nutrita ed efficace nella condizione attuale dell’Italia (e dell’Europa) non è affatto un’impresa di poco conto. Lo è in particolare quando si muove da premesse (e da promesse) che si rivelano molto lontane dalla realtà.
Tanto per fare un esempio: criticare il “jobs act” e muovere dalla convinzione che esso sia il frutto della volontà di cattivi governanti… pensare che sia sufficiente favorire con provvedimenti legislativi le assunzioni a tempo indeterminato perché poi si abbiano in realtà maggiori assunzioni stabili e questo in un’economia come quella italiana molto legata alle esportazioni, cioè alla concorrenza mondiale, caratterizzata da una cronica carenza di capitali (che poi significa dover offrire buone prospettive a investitori stranieri), priva di risorse energetiche e quindi costretta a procurarsele sui mercati mondiali, gravata da un enorme debito pubblico (che significa buttare al vento rilevanti somme per pagare gli interessi agli acquirenti dei nostri titoli di debito pubblico): ecco non considerare questo quadro appare preoccupante.
Non basta cioè pensare che non sta scritto da nessuna parte che l’Italia sia obbligata a conformarsi alle regole, non scritte, della globalizzazione, quando si è costretti ad operare su un mercato mondiale. Non si tratta poi di negare che l’economia abbia bisogno di regole. Proprio un grande liberale italiano, Luigi Einaudi, ne era profondamente convinto; ma deve trattarsi di regole tese a garantire quelle condizioni che garantiscono la libertà dei mercati e assicurano la concorrenza. E le normative sui rapporti di lavoro non possono prescindere da questo ordine di considerazioni.
La legge del mercato è la legge del profitto: capitali e imprese operano per conseguire dei guadagni, non certo delle perdite, che aprono la strada al fallimento delle imprese e alla perdita dei capitali investiti. E qui si apre il secondo campo dell’intervento delle normative, proprio per evitare lo sfruttamento dei prestatori d’opera e di garantire loro migliori condizioni possibili di lavoro e di retribuzione.
Ora nella condizioni attuali dell’economia mondializzata sono ridotte le possibilità degli stati – soprattutto quelli relativamente piccoli - non solo di dettare delle regole ma, in particolare, di porre in essere comportamenti che costringano gli altri stati e le presenze politiche ed economico finanziarie diffuse nel mondo non solo a rispettare certe regole, ma anche a non produrre danni rilevanti. Di qui la necessità impellente di un’unificazione europea molto più avanzata di quella attuale. E se subito dopo le due guerre mondiali l’unità europea era sollecitata per evitare guai del passato, oggi si tratta di affrontare il futuro, sia nel campo economico che in quello culturale, in difesa dei valori dei tre millenni della nostra storia.
Solo nell’ambito di un tale ordine di idee sarà poi possibile affrontare la vicina scadenza elettorale europea del 2019, che si presenta assai diversa da quelle del passato, quando in sostanza i partiti nazionali avevano il solo problema di scegliere una campagna elettorale per assicurarsi il miglior esito possibile. L’anno prossimo invece il discorso sarà completamente diverso, perché in Italia e in Francia i partiti tradizionali sono scomparsi e in Germania la situazione interna si è fatta problematica, ma soprattutto le rivendicazioni sovraniste rappresentano l’esatto opposto delle reali esigenze del momento.
Le elezioni europee del 2019 saranno l’occasione per un confronto politico serrato sull’avvenire dell’Europa ed è nella necessità di una risposta a questa assai complessa domanda che essere dovranno essere affrontate. Il PD deve fare opposizione, certamente, ma dovrebbe dare corpo a un’opposizione con la quale forze politiche, media e opinione pubblica siano costrette a confrontarsi.
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