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17/11/24 ore

Nuovo governo e opposizione?


  • Silvio Pergameno

Al nuovo Capo del governo è andata bene al G7 in Canada o almeno senza danni per l’Italia e tutto per un merito indiretto di Donald Trump, che sicuramente non ci aveva pensato.

 

Il Presidente degli Stati Uniti, infatti, in una delle sue uscite - senza che nessuno se lo aspettasse - ha fatto presente che sarebbe bene riammettere la Russia al G7, così come anche si pensa dalle parti della Lega; gli europei, ovviamente se la sono presa con Trump, per aver toccato un problema assai grave senza averne mai parlato prima con gli alleati e per non essere stata fatta prima alcuna preparazione sulla questione e Conte, in conclusione, contento del risultato, si è dichiarato solidale con i partner dell’Unione Europea.

 

Tutto questo un po' per la cronaca; ma il fatto importante per l’Italia, e che non sembra sia stato rilevato, è che con le parole di Trump è cambiato il quadro complessivo della questione dell’approccio verso la Russia, quale si era presentato prima qui da noi, cioè come un’idea delle forze che sostengono il governo del “cambiamento”, nuova (e di portata dirompente) rispetto alla tradizionale posizione dell’Italia in Europa e nella NATO.

 

Dal vertice canadese del G7 nei giorni scorsi è emerso invece un quadro totalmente privo di questi caratteri, nel senso che la questione di innovazioni nei rapporti con la Russia è stata posta a livello europeo e anzi dell’alleanza atlantica, una questione da discutere e preparare nel quadro che possiamo definire… tradizionale, quindi ormai installata fuori del quadro nazionale.

 

Lo aveva percepito Conte? La tante volte lamentata mancanza della sfera di cristallo non ci consente una risposta attendibile, ma a dire il vero l’aver alla fine il capo del governo accettato di votare insieme con l’Europa non deve meravigliare, sol che si consideri la composizione del governo, le dichiarazioni di Conte in Parlamento in occasione del voto di fiducia (non vogliamo buttare tutto all’aria, non vogliamo il default, non vogliamo uscire dall’Europa e dall’euro…) o le dichiarazioni del ministro dell’economia Giovanni Tria al Corriere del 10 scorso….

 

In effetti Il Ministro Tria dipinge un quadro dell’Italia caratterizzato da alcuni punti forti, soprattutto dal fatto che la situazione economica non è debole e che in sostanza il problema importante sta nella spesa per pagare gli interessi del debito pubblico, che esige perciò che i conti stiano in regola, non tanto perché ce lo dice l’Europa, ma perché sta scritto nella stessa nostra costituzione e lo stesso buon senso lo impone; in particolare per non minare la fiducia… E per l’immediato?

 

Tuttavia anche qui Tria non si scompone: per il finanziamento a breve non sussistono particolari problemi. Sempreché poi il debito scenda: perché questo è il presupposto vero della fiducia dei mercati. E il debito è sostenibile. Le difficoltà sorgono invece soprattutto a causa del dissesto in cui versa la pubblica amministrazione, che poi gli investimenti li deve gestire, peraltro con una capacità di progettare ed eseguire i lavori quasi distrutta. E Tria cita anche altri elementi positivi.

 

Merita al riguardo riportare qualcosa letta sul “Foglio” di sabato scorso in un articolo di Mastro Ciliegia, anche se in un passo dovuto non alla sua penna ma a quella di Valter Mainetti, presidente di Sorgente Group, proprietaria della Testata del quotidiano. La tesi di Mainetti è che le rassicurazioni date da Conte non comportano affatto la cancellazione della “rivoluzione più importante e temuta… quella che investe soprattutto le gerarchie di potere del paese, dagli ex politici agli ex sindacalisti sparsi in innumerevoli consigli di amministrazione di enti similprivati e pubblici.

 

La débacle dei partiti tradizionali per l’incapacità di innovarsi…. Che ha reso la politica succube di tali gerarchi, rendendo difficili le attività degli imprenditori e peggiorando la vita di tante famiglie…” Insomma dopo cinquant’anni di battaglie radicali anticorporative e anticonsociative il problema è esploso. Lo abbiamo detto subito in questi ultimi tre mesi: dietro 5stelle e Lega ci sono gravi problemi reali, anche se le “ricette” apparivano pericolose. Mainetti conclude con un’apertura di credito a Conte, sulla quale Ferrara non è d’accordo. Ferrara crede nell’opposizione.

 

E questo è il problema, e giustamente il Direttore di A. R. ha ritenuto di dedicarvi una puntata della rubrica “Maledetta politica”. Già, l’opposizione. Ma quando mai in Italia si è parlato di opposizione? Non è stata sempre considerata uno dei tanti sotterfugi liberal-borghesi in funzione antiproletaria?

 

L’opposizione non è mai stata considerata una componente essenziale del quadro politico istituzionale della democrazia, da affidare invece all’unità delle forze popolari, ai blocchi storici, ai compromessi storici, da Togliatti, a Berlinguer, all’Ulivo di Romano Prodi e alle origini dello stesso PD, tutte personalità sinceramente dedicate alla politica, ma… a una politica che a furia di convergenze – senza mai vera opposizione e vera informazione - ha portato alla presente difficile situazione. Ma non a caso non mi abbandono al catastrofismo, ma se mai penso di rilevare il continuismo.

 

E così è arrivato il governo Conte, con i due leader del “cambiamento” messi in seconda fila e con un una linea governativa che tiene conto dell’Europa e con il ministro Moavero Milanesi convinto europeista, con un ministro dell’economia di cui si potrà lodare la saggezza ecc. ecc. E poi cosa succede? Succede che dopo il primo contatto con la realtà il Movimento 5stelle perde pesantemente in tutte le elezioni amministrative.

 

Il PD all’opposizione, ma con quanta convinzione? Ha lanciato la parola d’ordine “opposizione”, ma un percorso di opposizione non è stato delineato, e nello stesso partito c’è chi pensa che con i 5stelle si possa fare un pezzo di strada insieme e un tentativo, è stato anche messo in atto durante i tre mesi scorsi; né è facile delinearlo, perché contro cosa si fa opposizione?

 

Contro un governo che poco cambia? contro due movimenti dietro i quali stanno problemi molto pesanti, come la disoccupazione nel sud e i perseguitati delle piccole imprese del nord? Problemi di cui sarebbe stato bene discutere, e a fondo, prima che fossero costretti a venire alla luce in forma esplosiva.

 

Alla resa dei conti poi di fronte  all’enfatica promessa del “cambiamento” in realtà l’avvio al livello istituzionale è fin troppo modesto. Vuoi mettere noi radicali degli anni sessanta-settanta quando conquistammo il divorzio contro non solo - e quasi quasi non tanto contro la DC, l’avversario da battere - ma contro una sinistra che non solo aveva paura di perdere, ma sentiva colpita la sua ideologia e la sua strategia di fondo… e dopo quella battaglia, comunque, l’Italia non è stata più quella di prima, aveva tentato di essere senza continuismi e con un’opposizione… costruttiva… 

 

 


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