Informativa

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie.

25/12/24 ore

Il 5 marzo


  • Silvio Pergameno

Finalmente è arrivato il 5 marzo. Durante la campagna elettorale quando qualche sconsiderato (…?) chiedeva quali prospettive ci fossero per il nuovo governo dopo le elezioni, tanti rispondevano che bisognava aspettare l’esito del voto, risposta anche giusta, ma insieme una scusa per trarsi d’impaccio. Ora ci siamo, ma l’interrogativo rimane ancora senza risposta. La prima indicazione verrà ora Presidente della Repubblica, con la fornitura dell’incarico a formare il nuovo governo, ma comunque i partiti e le formazioni politiche tutte, vincitori e perdenti, dovrebbero ben dedicarsi a profondi esami di coscienza.

 

Ovviamente il PD in primo luogo; e si tratta di un problema grosso, non solo per i vertici di via del Nazareno ma per l’intero paese, in quanto nel PD, con le formazioni politiche minori che lo hanno affiancato, si è trovato riassunto quanto restava in Italia del vecchio ceto politico che si riannodava alle tradizioni del pre- e del post-fascismo: DC, PCI e PSI; a parte i partiti cosiddetti “minori”, ormai del tutto scomparsi.

 

Ma non meno Berlusconi con Forza Italia, il quale è risultato soltanto una componente del gruppo arrivato primo e sopravanzato da Salvini, perché Salvini rappresenta una linea politica diversa. Berlusconi non è un sovranista: ma non pare abbia fatto gran che per valorizzare questa sua posizione.

 

Qualche settimana fa ha fatto visita a Junker - cristiano sociale lussemburghese e Presidente della Commissione Europea -, che lo ha accolto a braccia aperte, e poi ha indicato come premier Tajani, Presidente del Parlamento Europeo. Anche Berlusconi, cioè, come i dirigenti del PD, non ha fatto niente per fare una campagna elettorale dalla quale risultasse chiaro che il problema di fondo del nostro tempo è quello della costruzione europea.

 

È largamente diffuso il discorso che la distinzione destra e sinistra è ormai talmente sfumata che le differenze diventano poco afferrabili. Ma nessuno poi ne trae le conseguenze. E nella campagna elettorale testé conclusasi gli interventi politici di tutti i partecipanti alla competizione si sono ristretti su argomenti e questioni che hanno rappresentato ultimi residui della tematica politica che ha accompagnato la costruzione degli stati sociali in Europa, ma che non animano più scontri politici primari e dirompenti, anche se dietro di essi si agitano problemi di milioni di persone e di famiglie. Ma anche grandi epidemie o grandi calamità naturali sono immani tragedie… 

 

Le istanze fondamentali della socialdemocrazia (diciamo pure della “sinistra”) hanno trovato accoglimento in tutti i paesi europei e in termini analoghi. È questa la ragione per la quale oggi le socialdemocrazie vengono regolarmente sconfitte nelle elezioni. Ed è questa anche la ragione per la quale madame Le Pen o Salvini o Di Maio insistono invece sul sovranismo e si schierano contro l’Europa, in genere però agitando questioni attinenti alla gestione degli stati sociali.

 

Ma i non sovranisti o i genericamente europeisti non hanno afferrato il toro per le corna e si sono mossi invece sul questo stesso terreno, restando sconfitti. Come evolverà la situazione italiana a partire da oggi non è dato prevedere. Ma una soluzione provvisoria che rinvii molte cose a nuove elezioni tra un anno ha un senso solo se i nostri sconfitti capiscono come stanno le cose e utilizzano bene questo anno.

 

Il 4 marzo, comunque, è avvenuto in Europa e per l’Europa anche un enorme fatto positivo: la consultazione della base effettuata dalla socialdemocrazia tedesca sull’accordo con i Cristiano democratici e i Cristiano sociali bavaresi per la formazione della terza grande coalizione di governo del paese si è conclusa con un clamoroso “si”. E questo significa in sostanza che la costruzione europea andrà avanti, che dopo la Francia anche la Germania si mette sulla strada giusta. E che la strada di Macron è quella che va bene. Ovviamente “A.R.” non trascurerà di parlarne.

 

 


Aggiungi commento