Dopo le elezioni in Germania, con un’avanzata della destra che le ha caratterizzate, Emmanuel Macron non ha perso tempo ed è corso alla Sorbona, la prestigiosa università parigina, si è cioè recato a parlare a quei giovani, alla punta esponenziale di quei giovani che hanno rappresentato i suoi entusiasti fans e i suoi galoppini durante la campagna elettorale la scorsa primavera, per tracciare le linee del rilancio europeo guidato dalla Francia.
Mentre il suo partito, o meglio Movimento “En Marche”, subiva una sconfitta alle elezioni per il rinnovo della metà del Senato, che viene eletto con un’elezione di secondo grado, in gran parte da amministratori locali, proprio quelli ai quali Macron aveva tagliato consistenti quote dei finanziamenti dello stato. All’ingresso dell’ateneo è stato accolto da fischi dei quali è facile capire la provenienza… tenendo conto anche del fatto che la sua riforma del lavoro non ha persuaso la sinistra sindacale.
Mentre in queste elezioni per il Senato hanno vinto i Républicains, il partito di Sarkozy, una vittoria della destra in Francia come quella della destra in Germania, senza trascurare poi il fatto che la sinistra in Francia si è polverizzata: stanno scomparendo i socialisti, marginalizzati i comunisti e France insoumise… il panorama francese, ed europeo, non potrebbe essere più chiaro, se ci aggiungiamo la Brexit, le speranze di Salvini e compagni, la risposta dell’SDP, la socialdemocrazia tedesca alla sconfitta di domenica scorsa, vissuta tutta in termini di partito.
Le iniziative proposte da Macron in materia europea riguardano moltissimi campi, e, come abbiamo già avuto modo di rilevare su Agenzia Radicale, sono volte a colmare ambiti politici nei quali i fatti stato mostrando la necessità di interventi a un livello europeo. Macron non parla di federalismo, anzi ha quasi paura di questa parola: federalismo dà l’idea di una sottrazione (certo formale) di sovranità nazionale, anche se in realtà di aggiunta di sovranità, sostanziale, anche se condivisa. È una linea politica che quanti credono nel futuro del nostro continente sono obbligati a far propria.
Che in Germania dovrebbe forse portare a un governo che non rechi in sé, già in partenza, aspetti conflittuali di fondo solo per soddisfare un problema di sommatorie di voti e senza affrontare un dibattito nazionale;
- che in Italia dovrebbe portare a un salto di qualità nello scontro fra le forze politiche, perché il destino dell’Italia e quello della nostra sinistra se non si gioca sullo scontro tra D’Alema e Renzi, tuttavia passa per quello scontro, che può contribuire in modo forse determinante alla vittoria nelle prossime elezioni di una destra insipida e incerta;
- che i paesi dell’est dell’Unione Europea non si rendono conto del fatto che i loro nazionalismi démodés sono uno scherzo col fuoco sol che considerino che Putin aspetta il momento buono per far valere le pretese revanchiste che lo animano e che la vicenda della Crimea ben testimonia;
- che la socialdemocrazia tedesca non può continuare a fare sbagli uno dopo l’altro, senza rendersi conto del fatto che dietro il cattivo esito per il loro partito nelle recentissime elezioni vede sull’altro lato della medaglia l’avanzata di una destra che ha giocato la sua partita sul problema dei migranti e sulle paure dei risparmiatori che temono che i loro soldi finiscano nelle tasche degli spreconi dell’Europa del sud: cioè su temi che riguardano l’avvenire dell’Europa e che questo è il nodo da affrontare;
- che in Spagna si litiga su una questione di rottura dello stato nazionale;
- che nel Regno Unito i conservatori hanno vinto una partita elettorale con una sconfitta politica della quale si tenta ora di uscire… mettendoci le pezze…
È tutto un andamento che dimostra una sorta di distacco dalla realtà in tutta Europa e di incomprensione per i problemi reali con conseguente scadimento del livello politico stesso di tutto il continente e che è con questa situazione complessiva che deve essere valutata la svolta che Macron sta cercando di imprimere nel sempre periclitante percorso dell’integrazione europea.
Il fatto è estremamente significativo, proprio perché proviene dalla Francia, che abbiamo vista nel ruolo di frenatore in questo percorso, soprattutto con la bocciatura nel 1954 del trattato per l’istituzione di una Comunità Europea di Difesa e nel 2005 con il no nel referendum per l’approvazione della costituzione europea redatta da Valéry Giscad d’Estaing e da Giuliano Amato.
La tornata elettorale francese dei mesi scorsi ha visto la vittoria di Macron al livello elettorale generale, ottenuta attraverso l’indicazione di un ruolo europeo per la Francia, quello di una missione francese per far avanzare l‘integrazione del continente, indicazione contro la quale (e contro chi la ha promossa) si sono mobilitate le resistenze dei vecchi equilibri interni, con una vittoria (di risulta, si direbbe) della destra mentre la sinistra è scomparsa perché ha dimostrato di non sapere che pesci prendere.
Laddove invece un buon segnale è venuto dal viaggio in Francia di Gentiloni, un viaggio che ha registrato un accordo con Macron per la questione Fincantieri, dove l’essenziale soprattutto non sta nel sapere chi sarà il presidente del gruppo o quali saranno regole (certo importanti, ma che vengono dopo), ma sta nel fatto che l’accordo si sia trovato per dar vita a un colosso mondiale della cantieristica…
A questo si devono attrezzare i paesi europei per essere tra qualche anno al livello di una concorrenza economica mondiale e di un peso politico mondiale, dove protagonisti saranno paesi ormai industrializzati con una popolazione doppia o tripla di quella di tutta l’Unione Europea. E con gli Stati Uniti che pensano ai fatti loro e non a risolvere i problemi nostri, come già per qualche aspetto ha già segnalato la presidenza Obama (che ha lasciato alla Russia occuparsi della Siria, ad esempio) e come il nuovo presidente degli USA sta cercando di attuare.
Diciamo la verità: è ora di svegliarsi.
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