Del presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, tutto si potrà dire tranne che sia un personaggio che parli sopra le righe o che sia propenso alla polemica. Se di fronte alla riforma del codice antimafia approvato dal Parlamento il 27 settembre, si è espresso in modo drastico è perché anche questa riforma non fa che confermare quanto sconsolante sia il bilancio di questa diciassettesima legislatura.
Inseguendo vanamente un presunto rigore contro la corruzione, i parlamentari hanno infatti approvato l’estensione della possibilità dei “sequestri di beni” preventivi a chiunque resti coinvolto in un’indagine connessa ai reati contro la pubblica amministrazione. Una norma che, secondo Boccia, “stravolge i principi costituzionali e, per l'alta discrezionalità che concede, mina il bene assoluto della certezza del diritto”. E conclude: ““Con il nuovo Codice Antimafia si equipara l’attività degli imprenditori a quella dei delinquenti. È un errore madornale e in questo Paese ogni mattina si deve combattere con una cultura antindustriale e iperideologica che, pensando di far bene, fa in realtà molto male al Paese intero”.
Prodotto della deriva giustizialista, il codice approvato si ispira alla tendenza, da tempo in atto, di invertire l’onere della prova e dà ulteriore spazio all’arbitrio dell’azione da parte degli inquirenti, specie laddove non si sia in grado di realizzare i filtri necessari alle delazioni interessate. Tenuto conto dei tempi lunghi dei processi, si potranno determinare vere e proprie ecatombe di imprese a opera di concorrenti sleali o, peggio, della stessa criminalità.
Che le nuove norme siano quanto mai controverse, d’altro canto, se ne sono accorti anche dentro la corporazione giudiziaria. Il presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Milano, Fabio Roja, ha infatti dichiarato: “Ci vorrà una grande cautela nell’applicazione, si tratta di misure invasive prese con materiale probatorio limitato”. Non le ha particolarmente gradite neanche il presidente dell’Autorità anti-corruzione, Raffaele Cantone, per il quale il sequestro preventivo “poteva avere un senso se applicato ai mafiosi, molto meno se applicato nelle ipotesi di corruzione”. A suo dire si tratta di “una scelta non del tutto opportuna, che si presta a possibili eccezioni di costituzionalità che rischiano di coinvolgere tutto l'impianto dei sequestri preventivi”.
Licenziata alla terza lettura, la legge risponde più all’esigenza del ceto politico di “apparire” impegnato nella tutela dell’onestà, anziché a quella di combattere davvero il malaffare. Per farlo, la strada da seguire è quella di scardinare la logica delle licenze e delle concessioni da parte della pubblica amministrazione e definire piuttosto soltanto ciò che è espressamente vietato. Solo in questo modo, si potrà ridare spazio agli investimenti e si garantirà quella certezza del diritto che la superfetazione normativa di questo tipo nega al nostro Paese.
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