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16/11/24 ore

Vecchi e nuovi rischi dopo le elezioni tedesche (e francesi)


  • Silvio Pergameno

Due elezioni contemporanee in Germania e in Francia, entrambe rischiose per il progetto europeo, la prima in particolare. 

 

Adesso che in Germania l’ AfD si fa avanti minacciosa, tutti sono pronti a drammatizzare, dopo che da tempo il Movimento segnalava la propria imbarazzante presenza. Imbarazzante anche perché non si presenta con connotati estremistici e offre quindi una supposta “alternativa” alle aspirazioni nazionalistiche dell’antieuropeismo che non vuole presentarsi con connotati inaccettabili; e proprio per questo è assai più pericoloso.

 

Ma nessuno prima ha voluto affrontare questo neonazionalismo, che si manifesta soprattutto nell’ex Germania est, ma che esprime posizioni che connotano ampio strati ampi strati della società tedesca e che hanno preoccupato la stessa Cancelliera proprio sotto il profilo della consultazione elettorale che si andava avvicinando e che ha poi prodotto una consistente perdita di suffragi in entrambi i partiti della coalizione di governo, con la scelta subito effettuata da Martin Schulz, Presidente del Parlamento europeo e del Partito socialdemocratico tedesco, di non rinnovare la “Grande coalizione”. Una decisione che assomiglia più a una fuga dalle responsabilità che il frutto di un accurato esame politico della situazione.

 

L’AfD ha ottenuto un forte successo nella Germania est, dove pure è evidente che si può parlare di “società delle conseguenze”, delle conseguenze di quasi mezzo secolo di sovietizzazione subita… Ma è la connessa perdita dell’8% da parte del partito della Cancelliera l’aspetto più significativo, perché Angela Merkel ha perso per la generica, non meditata apertura sulle migrazioni e per una evidente mancanza di precisione e di determinazione sull’orientamento complessivo del suo governo in questa difficile questione, chiaramente per timore di perdite nel suo stesso elettorato.

 

Le difficoltà più pesanti sono senza dubbio quelle per la formazione del nuovo governo tedesco, e Angela Merkel, che resta comunque l’asse – un po' azzoppato - della politica tedesca, pensa di riuscirci in qualche modo, anche se la strada è in forte salita, ma è di tutta evidenza che l’avanzata dei populisti tedeschi in connessione con il non sorprendente atteggiamento dell’SPD rischiano di segnare una battuta di arresto nel processo dell’integrazione europea.

 

Angela Merkel sembra poi doversi avvalere per forza di cose della innaturale collaborazione con Verdi e insieme con la destra liberale (liberale, si fa per dire…), che pure ha ottenuto un buon risultato, soprattutto sul tema dei soldi tedeschi che debbono rimanere in Germania e non finire nelle tasche dei paesi “cicala” dell’Europa del Sud. Un argomento di forte presa popolare, ma il cui livello politico è estremamente dubbio. Non appare invece troppo preoccupato il verde Joschka Fischer, convinto federalista europeo ma da anni ormai ai margini della politica tedesca.

 

Fischer giudica che se Angela Merkel avesse impostato la sua campagna elettorale sull’Europa la differenza con AfD sarebbe stata più netta, ma ritiene che questo Movimento non abbia la stoffa per poter diventare una vera opposizione; possono solo dare dei fastidi, ha detto nell’intervista rilasciata al Corriere della Sera di ieri. Queste elezioni, comunque – secondo Fischer – segnano l’inizio della discesa della Cancelliera, che sarà sottoposta ad attacchi interni, mentre i Socialdemocratici dovrebbero costruire una decisa opposizione, centrata proprio sulla vicenda europea.

 

Certo è che la Germania, ma non meno gli altri paesi dell’Unione Europea dovrebbero affrontare i problemi di fondo della situazione che si è venuta a determinare proprio in Germania, sinora il paese stabile e Modello per tutti gli altri. Un’occasione potrà essere data dalla riunione in Estonia dei ventotto membri dell’Unione giovedì prossimo per parlare dell’Europa dopo la Brexit, ma inevitabilmente anche, e soprattutto, dopo gli esiti delle elezioni di domenica scorsa anche in Francia, per il rinnovo di mezzo Senato, che hanno registrato una pesante sconfitta per Emmanuel Macron.

 

Sconfitti anche i socialisti, sempre più in crisi, sconfitta anche la sinistra avanzata di Jean-Luc Melenchon e una netta vittoria dei Républicains (il partito dell’ex Presidente Sarkozy).

 

Le elezioni per il Senato in Francia hanno un aspetto molto particolare, in quanto si tratta di un’elezione di secondo grado, nella quale gli “Elettori” sono principalmente le decine di migliaia di amministratori degli enti locali, che evidentemente hanno colto l’occasione per rispondere ai tagli dei finanziamenti dello stato disposti da Macron, il quale ha subito anche i malumori nei rapporti con i sindacati per le riforme in corso in materia di lavoro e di occupazione e probabilmente ne parlerà oggi in un intervento alla Sorbona sui suoi progetti per l’Europa, che lo scorso 24 settembre scorsa ha certamente vissuto una brutta giornata.

 

Al momento attuale, in definitiva, è impossibile lasciarsi andare a previsioni. La presente crisi potrà essere superata con accorgimenti vari, risolvendo in qualche modo i problemi non rinviabili, come la formazione del nuovo governo a Berlino, dove però la coalizione “Giamaica” (nera, giallo, verde) sembra troppo eterogenea a ricca di contrasti, con un Parlamento poi che, come proprio Fischer ha detto, potrebbe avere aspetti simili a quello della Repubblica di Weimar, caratterizzato da contrasti senza fine.

 

In altri ,non si può far finta che non sia successo niente, ma occorre evitare di dare per scontato il trionfo del peggio, anche se venirne in capo non sarà facile. Soprattutto poi non si può non rilevare come si stia avverando la profezia di Altiero Spinelli ancora nel corso dell’ultima guerra, che la restaurazione degli stati nazionali avrebbe riprodotto situazioni e problemi simili a quelli del passato e che la sorte della democrazia in Europa era legata all’unificazione del continente.

 

Un po' come era accaduto agli inizi dell’Ottocento, quando, a seguito dei fallimenti dei moti carbonari (che cercavano la libertà nei vecchi stati in cui la nostra penisola era allora divisa) prevalse l’idea che “liberi non sarem se non siam uni”, come aveva capito Alessandro Manzoni.

 

 


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