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16/11/24 ore

Macron … Napoléon


  • Silvio Pergameno

Emmanuel Macron comincia a incontrare le prime difficoltà nel dar vita al percorso presidenziale delineato già lo scorso anno con il lancio del nuovo movimento “En marche”, con il libro Révolution e nel corso della campagna elettorale che lo ha portato a una decisa vittoria nelle presidenziali e nelle legislative della scorsa primavera sull’intero schieramento degli avversari, il retrivo Front National di Marine Le Pen, i socialisti, i Républicains eredi del partito gollista, la nuova sinistra di Jean Luc Mélenchon, i comunisti già da tempo ridotti a  percentuali modeste di rappresentanza.

 

Ha vinto essendo riuscito a infondere nei francesi, le giovani generazioni in particolare, una fiducia nuova, la speranza di una Francia risorta e vitale, alla quale viene fatto comprendere che l’Europa è indispensabile per affrontare i problemi di un mondo globalizzato, e ha enfatizzato questo aspetto proprio nel momento in cui le urne lo hanno designato come responsabile della politica francese per i prossimi anni: nella cerimonia svoltasi subito dopo l’avvenuta conoscenza del risultato delle presidenziali ha accoppiato l’inno dell’Europa alla Marseillaise, significando che il destino della Francia è legato a quello dell’Europa, proprio perchè la Francia è l’Europa, perché l’Europa fa parte dell’identità francese.

 

Se ripercorriamo il percorso della costruzione europea dai primi passi avviati alla metà del secolo scorso, con le realizzazioni effettuate e le sconfitte subite, è facile vedere che tale percorso si è connotato come una lotta contro gli stati nazionali, segmenti della cui sovranità andavano contrastatati e trasferiti a una ente sovranazionale, al quale era necessario dar vita. Da qui le resistenze nazionali e, in sostanza, la venuta in essere di un’entità di natura confederale e non di un vero nuovo stato federale, dotato di poteri certamente limitati ad alcuni campi, ma effettivi.

 

L’unico vero passo avanti è stato la creazione della moneta unica con la Banca nazionale europea, alla quale molti governi europei non hanno aderito: gli inglesi hanno sempre concepito l’Europa come un’area di libero scambio, dalla quale alla fine sono usciti con la Brexit, certamente con l’occhio rivolto al passato, nel quale c’è la storia di un impero lentamente dissoltosi, ma con l’esistenza di legami non del tutto scomparsi e insieme una sorta di diffidenza verso il “continente”, forse mai esplicitamente ammessa e teorizzata, ma presente: l’Europa produceva i Napoleone, i Kaiser, gli Hitler

 

E in Italia e Germania le forze politiche democratiche sono sempre state filoccidentali, filofrancesi, mentre la destra francese ha registrato l’impressionante vicenda collaborazionista della Repubblica di Vichy con l’occupante tedesco, rettasi sulla figura del maresciallo Pétain. Il Maresciallo era stato il rianimatore della Francia nel corso della prima guerra mondiale, ma era una figura decisamente reazionaria, che aveva assunto il governo della Francia al momento della sconfitta del giugno 1940, traferendone la sede a Vichy dove, con il sostegno dell’ Assemblea nazionale dette vita a un sistema di governo autoritario e di collaborazione con gli occupanti, che giunse fino a trasferirsi in Germania quando la Germania fu costretta via via a ritirarsi dal territorio francese per effetto delle vicende della guerra:  momenti cruciali che portano alla luce fiumi nascosti della storia politica, emergenti in contingenze eccezionali, ma non per questo meno preoccupanti.

 

Un’eroe della resistenza francese venticinque anni prima che diventa l’anima di una tendenza autoritaria appoggiata allo straniero invasore: quasi da non credere, ma che porta a far riflettere su tutti i percorsi ispirati a presupposti esclusivamente nazionali.

 

Preoccupanti perché fanno riflettere, o almeno dovrebbero far riflettere, sui rischi enormi derivanti dalla commistione, maturata nella seconda metà del secolo XIX, tra stato e nazione, commistione che fa della nazione l’erede dei conflitti di potere, delle spinte espansionistiche, delle lotte armate, soprattutto, proprie dei vecchi stati europei dell’epoca moderna, in un tempo nel quale il progresso industriale ha creato mezzi di distruzione di massa prima inimmaginabili. E tra parentesi va pur detto che questi problemi non si affrontano in chiave pacifista, quali che siano le buone e lodevoli intenzioni dei pacifisti. La storia dell’Europa andrebbe, cioè, riscritta considerandone passaggi di solito ai margini delle narrazioni

 

Ma torniamo a Macron (anche se le memorie testè rievocate non volevano escluderlo dai destinatari). Torniamo a Macron e a un quadro di fondo che ha voluto sottolineare cercando di fondere Francia ed Europa; un quadro che si attaglia anche agli altri paesi europei. Le storie di questi paesi sono infatti soltanto spicchi di una storia europea, la storia di un continente che resta assai monca se non  raccontata nel suo insieme.

 

Ma tra queste considerazioni e il corso politico quotidiano è chiaro che intercorre uno spazio molto ampio nel quale è facile che impostazioni generali di sicuro rilievo possano poi perdersi, giorno dopo giorno, nel tran tran dei mille e mille problemi e conflitti di cui sono intessute. Che è quello che sta cominciando a succedere a Macron, certo consapevole della sostanziale assenza politica del continente europeo, cioè di quello che unitariamente considerato rappresenta la regione più ricca e dotata del mondo, e non meno del fallimento del processo di una integrazione europea fondata sulla collaborazione tra gli stati, come si è attuata per mezzo secolo, e che ha proposto come speranza di passi avanti un progetto di costituzione europea, del tutto astratto rispetto alla realtà degli stati.

 

Una situazione che sicuramente impone alla Francia la necessità di farsi carico in prima persona dello sviluppo dell’integrazione europea: l’accoppiata dell’inno europeo con quello nazionale francese dovrebbe pur significare che per il giovane Presidente l’integrazione europea è vista come un aspetto dell’identità francese: l’Europa come una Francia più grande.

 

È, occorre pensare, nel quadro di premesse di questa natura che occorre affrontare le ineliminabili frizioni che una prospettiva politica come quella di Macron è destinata a provocare, facendo anche le dovute differenze. La stretta di mano ottenuta tra i due leader libici Serraj e Haftar, con tutti i dubbi che può riservare quanto agli esiti, è un fatto politico diverso dalla questione dei cantieri Saint Nazaire.

 

Mettere in atto – nell’attuale contesto mondiale - una rapida politica di rilancio francese (da considerare meglio statuale che nazionale) è una scommessa non priva di rischi, anche perché l’intreccio di interessi fra vari paesi, europei soprattutto, è cospicuo e facilmente provoca contrasti. Non solo: provoca anche reazioni sconsiderate, come quelle ascoltate a un tg di canale cinque, ispirate al più trito e démodé nazionalismo da pochi soldi e che fa pensare a un triste passato, anche se far valere le proprie esigenze è ovviamente fondamentale per ogni governo.

 

E non sembra che il tranquillo  Gentiloni stia affrontando con toni sbagliati le vicende di questi giorni, anche se la sua è una politica di adattamento a una condizione di debolezza, legata anche alle incertezze in cui naviga il suo partito, ma anche e forse di più alla generale condizione  sconclusionata in cui versa l’Europa nel suo complesso.

 

 


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