17/11/24 ore

Le elezioni inglesi: senza vincitori…


  • Silvio Pergameno

…né vinti. La più antica democrazia dell’epoca moderna, costruita lentamente nel tempo e per tappe successive, in uno stato la cui esistenza era assicurata dalla natura insulare del territorio e dalla flotta oltre che dalla tenacia dei cittadini, questa volta ha fatto cilecca.

 

Nessuno dei due maggiori partiti sembra in grado di poter formare un governo. Teresa May ha voluto queste elezioni per rafforzare la propria maggioranza e ne esce indebolita, dopo una campagna elettorale fiacca, incapace di scaldare i cuori, di individuare i termini di un vero confronto politico.

 

Perché il fatto della Brexit non è stato al centro della campagna elettorale, ma probabilmente ne è stato il fantasma che ne ha turbato i sonni. I conservatori hanno perduto la maggioranza assoluta e non sono in grado di formare un governo nemmeno con i liberali, del resto contrari a un accordo, mentre non sono in grado di formarlo nemmeno i laburisti di Corbin, nonostante il 40% dei voti ottenuti e i trentacinque in più seggi guadagnati rispetto alla precedente consultazione del 2015 (di fronte al solo 43% dei conservatori).

 

Corbin, all’estrema sinistra dei labour, è stato bravo, ma non era il personaggio in grado di proporre e sostenere un quadro politico nuovo e articolato, in una situazione comunque condizionata dalla Brexit, che ha dirottato la discussione politica su una sorta di strada senza prospettive e ha creato tutta una serie di nuovi problemi e di nuove difficoltà. Corbin ha avuto un voto giovanile e sicuramente di tanti elettori che hanno voluto impedire la vittoria della May, peraltro riuscendoci solo a metà.

 

Teresa May non era una sfegatata nell’antieuropeismo, ma ha probabilmente ritenuto che la carte della Brexit fosse quella vincente, benché nel referendum dello scorso anno le città, a cominciare da Londra abbiano votato per restare in Europa, e la parte più conservatrice e forse anche quella meno “moderna” e anche disinformata ha votato per uscire. Ha così aggravato la posizione del suo paese anche nelle trattative con l’Europa, proprio mentre diventa sempre più chiaro il fatto che la Brexit è stata soltanto una fonte di difficoltà e una perdita di tempo, che poteva esser dedicato a affrontare il problema della costruzione europea con il Regno Unito dentro.

 

Le ripetute tragedie degli attentati terroristici sembra poi siano state affrontate solo sotto il profilo dell’ordine pubblico, ovviamente di primissimo piano, ma privo della capacità di aprire un dibattito sul fatto che il terrorismo si rivela come l’ultima e più tragica conseguenza della mancata capacità da parte del mondo occidentale, dalla fine della seconda guerra mondiale ad oggi, di affrontare il problema – enorme e complicatissimo – della creazione di un nuovo ordine mondiale, nel quale soprattutto la fine del colonialismo fosse affrontata con la consapevolezza che non bastava creare nuovi stati dotati di piena sovranità, ma privi di tradizioni politiche e di partiti politici ben strutturati sui nuovi compiti che li attendevano.

 

Inutile, certamente, tentare adesso più meno fantasiosi pronostici, mentre sarà molto interessante seguire domenica prossima le legislative in Francia, altra potenza ex coloniale e pure ripetutamente colpita da attentati terroristici. Domenica quando si vedrà come il giovane novatore Macron affronterà la prima prova interessante nel confronto con il vecchio quadro politico, che sta rivelando i limiti di quella (pur certamente necessaria) riforma gollista di mezzo secolo fa, che noi italiani non siamo comunque riusciti a fare.

 

 


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